A RISCATTO DELLE PROSTITUTE

 

http://img392.imageshack.us/img392/5924/amicizia8yt.gif SUOR EUGENIA E LE CONSORELLE

 COME UNA MADRE A RISCATTO DELLE PROSTITUTE
 MARINA CORRADI

E9
ugenia Bonetti è una suora di 70 an­ni. Come missionaria della Consola­ta ha passato 23 anni in Kenya. Poi è tor­nata in Italia. Una sera del giorno dei Morti, diversi anni fa, stava andando a Messa, quando l’ha fermata per strada u­na ragazza nigeriana. «Madre, voglio par­larle », fa la ragazza. «Vieni in chiesa con me, dopo mi racconti», risponde la suo­ra – con quell’attitudine dei missionari a non stupirsi mai della faccia di chi li fer­ma per strada, e nemmeno dei vestiti che indossa. La sconosciuta era una prosti­tuta portata in Italia come altre migliaia, per forza o per disperazione. Però, an­nientata dal suo “lavoro” di comprata e venduta, voleva liberarsi, e smettere.
  È così che una piccola minuta suora lom­barda allora verso la sessantina – l’età in cui gli altri vanno in pensione – comin­cia a mettere su una rete di 110 case di ac­coglienza gestite da suore di vari ordini, sotto la direzione dell’Unione supe­riori maggiori italia­ne. In dieci anni, da quando un articolo della legge sull’im­migrazione consen­te a chi denuncia i propri sfruttatori un permesso di sog­giorno per il reinse­rimento, nelle case e nei conventi di suor Eugenia sono passa­te cinquemila ragaz­ze (come racconta il servizio nelle pagine interne) e in otto su dieci hanno trovato un lavoro, o hanno scelto di tornare in patria. Alcune, che erano incinte, il figlio se lo sono tenute – è bastato avere una faccia amica accanto. Migliaia di rume­ne, moldave, africane, venute qui a sedi­ci anni a battere un marciapiedi, educa­te a una ferrea obbedienza dall’omicidio di qualche compagna trovata ammazza­ta di botte in una roggia, hanno rico­minciato a vivere grazie a suor Eugenia e alle sue compagne. Ma, lo conoscevate il volto di quella suora, e il suo nome?
  La cosa singolare è che in un mondo in cui si diventa famosi anche per una pa­rolaccia detta in tv, donne così siano, al grande pubblico, quasi sconosciute. Una foresta che cresce non fa rumore, è pro­prio vero: migliaia di donne liberate dai loro “padroni” possono passare inosser­vate, come una notizia banale. Ma qual­cosa affascina nell’operare di queste donne vestite di nero o di grigio, come invisibili, oppure viste solo nell’immagi­ne stereotipata di chi le giudica delle mo­raliste, delle bacchettone, creature fuori dal tempo anacronisticamente soprav­vissute nella modernità. Ciò che meravi­glia è il loro fare pienamente concreto – concrete tanto da sapere accogliere e e­ducare delle ragazze che pochi vorreb­bero in casa; ma senza slogan, senza al­cun rumore, senza alcun proclama me­diatico. Un fare ostinato e invisibile, con­tro a un visibilissimo, assordante quoti­diano rumore.
  Sembra la cifra, questo lavorio silenzio­so, di un approccio alla realtà che chia­meremmo profondamente femminile, e pazienza se qualcuno se ne scandaliz­zerà. Un’attenzione concreta alla perso­na che si ha davanti: semplicemente a quella, che sia figlio, alunno, paziente, o una poveretta importata dall’Est come u­na cosa. Un’accoglienza all’altro che è poi declinazione in forme diverse di un’atti­tudine materna – altra espressione oggi­giorno politicamente scorretta. Il lavoro oscuro delle sorelle invisibili di suor Eu­genia come di migliaia di altre, negli asi­li, negli ospizi, con gli extracomunitari, è una maternità – più forte ancora di quel­la carnale, giacché è più difficile amare un vecchio o una ragazza della strada, che tuo figlio. Una maternità, e questo spie­ga perché il mondo non se ne accorge. Ma anche perché, nel silenzio dei titoli, lo stesso mondo ne viene trasformato profondamente, alla radice, in ogni fac­cia accolta e amata.

A RISCATTO DELLE PROSTITUTEultima modifica: 2008-02-20T12:43:26+01:00da ritina5
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