MANO SALDA DEL LAVORATORE DELLA VIGNA
DAVIDE RONDONI
C’è come la saggezza e la premura del contadino nelle parole di Benedetto XVI.
Aveva detto del resto, all’inizio del suo pontificato, di identificarsi con il lavoratore nella vigna di Cristo. E con la premura e la letizia del contadino ieri Benedetto ha mostrato ai suoi vescovi i segni di una possibile fioritura nella vita della Chiesa e della Nazione. Come uno che osservi delle gemme, con la gioia tremante di chi ne è grato e trema per l’esposizione possibile alle intemperie.
Ha innanzitutto ricordato l’attenzione ai giovani. Si è soffermato sul rischio che i giovani vengano lasciati ‘soli davanti alle grandi domande’ che nascono nella vita. La vasta «emergenza educativa» che si mostra in tanti modi è, per il Papa, un richiamo alla responsabilità per i sacerdoti, per gli insegnanti e per tutti. Per questo ha invitato a «dare uno più spiccato profilo di evangelizzazione alle molte forme e occasioni di incontro e di presenza» in mezzo al mondo giovanile. Specie nelle scuole. La domanda di una maggior risposta alla emergenza educativa emerge, ha notato il Papa, «nel più ampio contesto sociale». Come dire che molti, nella società italiana, si accorgono che il campo va coltivato, e che le ricette di relativismo e negazione scettica soffocano la vita. In questo senso, il Papa con la pazienza vigile di chi sa cosa è coltivare, riconosce anche un «clima nuovo, più fiducioso e costruttivo» che proviene dal «profilarsi di rapporti più sereni tra le forze politiche e le istituzioni, in virtù di una percezione più viva delle responsabilità comuni». Insomma, se la politica mira più chiaramente ad assumersi responsabilità di risposta alle urgenze, in un dialogo non velenoso tra le parti, il campo comune dell’Italia ne guadagna. Di tale possibilità positiva ne hanno percezione, dice il Papa, anche il «sentire popolare» e le «categorie sociali».
E perciò parla a questo proposito di una «particolare gioia». Che non è la gioia di un politico, ma di un contadino. Di uno che vede intorno e sul campo per ora diradarsi nubi minacciose. E questo lo fa sperare. Perché la speranza è la forza di chi coltiva. L’Italia ha bisogno di una nuova stagione di crescita economica, ma avverte il Papa, «anche civile e morale». Perché chi conosce l’arte della coltivazione, sa che non c’è crescita economica senza la crescita della personalità civile e morale. Questo clima può svanire. Le nubi possono velocemente addensarsi e spazzare di arido gelo il campo, spezzare e rapire i timidi segni di fiducia.
E il Papa contadino sa che il problema dei problemi, ciò che fa la differenza tra un campo destinato alla sterilità e uno dove invece la vita può fiorire, «resta il problema di Dio». Perché «nessun altro problema umano e sociale – insiste Benedetto XVI – potrà essere davvero risolto se Dio non ritorna al centro della nostra vita». Il contadino è realista: sa che cosa nutre la terra della vita. Perciò ancora una volta il Papa invita a una sana laicità, intesa come spazio in cui gli uomini di fede possono dare un contributo fondamentale «al chiarimento dei maggiori problemi sociali e morali dell’Italia». Sono mesi in cui non mancano notizie e motivi di preoccupazione. Proprio per questo non c’è bisogno di professionisti del lamento (la più facile delle professioni) o di profeti di sventura (altro mestiere facile, in genere esercitato da persone al riparo dai problemi più seri dell’esistenza). Ma di uomini con il gusto e la gioia del coltivare. Con la forza e la pazienza del contadino e del vignaiolo.
© Copyright Avvenire, 30 maggio 2008