L’UOMO CHIAMATO “OSSO”

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Ha vissuto gli anni del Milan di Sacchi da un punto di osservazione privilegiato: era il padre spirituale dei giocatori. Era sull’aereo del Milan in due momenti clou della prima gestione Sacchi: quando i rossoneri vinsero la Coppa dei Campioni a Barcellona e a Vienna. Massimo Camisasca, storico di Comunione e Liberazione di cui è stato per quindici anni l’ambasciatore in Vaticano, e oggi superiore della Fraternità San Carlo, una comunità di preti da lui fondata e presente in quindici paesi del mondo, ricorda col Riformista quegli anni e, soprattutto, uno dei tanti fuoriclasse che allora poté avvicinare: Roberto Donadoni, attuale ct azzurro.

Don Camisasca, cominciamo con le domande difficili: chi è Roberto Donadoni?
Donadoni era ed è un ragazzo serio. È stato grazie alla sua serietà che ho potuto avvicinarmi al mondo del calcio, un mondo per me sconosciuto. Mi sembravano tutti un po’ folli. Ma Donadoni mi ha aiutato a relativizzare certi aspetti. Anche a lui certe cose del mondo calcistico sembravano folli. E questa era la posizione anche di Sacchi. Avevo davanti persone proiettate sempre verso il successo, arricchite da stipendi favolosi che talvolta non sapevano gestire. Ma molti vivevano questo mondo con grande dignità e umanità. In prima fila, tra questi ultimi, c’era sempre Donadoni.

Da cosa si capiva che era serio?
Da tante cose. Ad esempio da come affrontava gli allenamenti. Di lui impressionava la tenacia: era sempre tra i primi ad arrivare sul campo e l’ultimo ad andare via.

Come lo trattavano i compagni?
Avevano capito questa sua caratteristica tanto che lo chiamavano “Osso”.

Che significa?
Significa “quello che non molla mai”.

Insomma un duro…
Più che altro un bergamasco. Donadoni, infatti, era un bergamasco vero.

In che senso?
Dei bergamaschi aveva e ha il temperamento. Per dire chi è Donadoni basta un detto delle sue parti: «Carater de la raza bergamasca fiama de rar, sota la sender brasca». Che tradotto significa: il carattere della razza bergamasca s’infiamma di rado, ma sotto la cenere cova la brace.

Insomma, un tipo tranquillo ma che se si arrabbia son dolori?
Donadoni è di poche parole, posate, misurate. Ma anche se questa sua caratteristica potrebbe nascondere un animo distaccato, in realtà rivela un temperamento assolutamente appassionato e insieme completamente dominato, tenuto a freno. È sempre in cerca del punto di equilibrio. Spesso dà a chi lo ascolta l’impressione che abbia il complesso di quello che si sente sempre attaccato. Ma egli vuole semplicemente difendere le ragioni delle sue scelte, mostrare quanto siano ponderate, ragionevoli. Insieme, è un uomo di una intensità affettiva enorme. Che forse con troppa facilità si sente tradito.

Quando ha conosciuto Donadoni la prima volta?
L’ho conosciuto già dai tempi in cui giocava nell’Atalanta. E poi nel Milan. Spesso il sabato pomeriggio lo guardavo mentre si allenava coi compagni. Mi fermavo a Milanello mezza giornata durante i ritiri (i ritiri, strana coincidenza di vocabolario calcistico e religioso). Arrivavo il sabato verso le tre del pomeriggio. Guardavo le ultime fasi dell’allenamento e me ne andavo la sera, dopo messa. Spesso tornavo la domenica mattina per passare coi giocatori le ore precedenti la partita. Di Donadoni, calcisticamente parlando, ho potuto ammirare le doti di fantasioso regista. E ho pregato che fosse un bravo regista anche nella vita.

Come passava il tempo nei ritiri?
Nelle ore di pausa a Milanello i giocatori si distraevano in diversi tavoli da gioco. Donadoni prediligeva il biliardo. Altri il Black Gammon, altri ancora le freccette. Non posso dire con chi Donadoni fosse più in confidenza: perché era riservato con tutti e insieme amico di molti. Però, certamente, era legato a Filippo e Giovanni Galli, Ancelotti, Maldini e Baresi.

L’ha sentito recentemente?
In questi ultimi anni non ci siamo più visti. Anche a causa mia. Ero troppo preso da altre cose. Adesso che vorrei rivederlo è troppo preso lui. La sua amicizia mi manca. Vorrei rivolgergli attraverso il Riformista il mio incoraggiamento dato che il suo telefonino giustamente tace.

Che differenza c’è secondo lei tra Sacchi allenatore e Donandoni allenatore?
Posso dire ciò che vedevo allora: lui e Sacchi erano molto diversi, ma li accomunava una determinazione assoluta a voler perseguire l’obiettivo prefissato. Sacchi sapeva leggere dentro le persone che aveva davanti. Aveva una grande capacità introspettiva. Per questo aveva un ottimo rapporto con tutti. E in particolare ce l’aveva con Donadoni.

Paolo Rodari-Palazzo Apostolico 

L’UOMO CHIAMATO “OSSO”ultima modifica: 2008-06-16T21:58:54+02:00da ritina5
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