TERRA SANTA, IL REALISMO DI BENEDETTO XVI

Per un aiuto ad un giudizio su questa ultima guerra nella striscia di Gaza, riproponiamo l’articolo di don Stefano Alberto nel quale spiega perché quello del Pontefice è “un giudizio storico carico di ragionevolezza”Il Riformista 18 gennaio 2009

SamizdatOnLine

In questi giorni con la guerra nella Striscia di Gaza è entrata nei nostri cuori anche la terribile evidenza che essa è destinata, ancora una volta come gli innumerevoli conflitti che insanguinano da decenni la Terra Santa, a non risolvere i gravissimi problemi di quella regione.
Lo sgomento e il senso di impotenza crescono di fronte alle morti innocenti, alle sofferenze delle popolazioni civili, alla mostruosa ideologia fondamentalista di Hamas, che punta esplicitamente alla distruzione dello Stato di Israele e che, violando la tregua con continui lanci di razzi, ha provocato la reazione di Israele con la forza militare.
«Una volta di più, vorrei ripetere che l’opzione militare non è una soluzione e che la violenza, da qualunque parte essa provenga e qualsiasi forma assuma, va condannata fermamente. Auspico che, con l’impegno determinante della comunità internazionale, la tregua nella striscia di Gaza sia rimessa in vigore – ciò che è indispensabile per ridare condizioni di vita accettabili alla popolazione – e che siano rilanciati i negoziati di pace rinunciando all’odio, alle provocazioni e all’uso delle armi» (Discorso di Benedetto XVI al Corpo diplomatico, 8 gennaio 2009).
La voce del Papa che, instancabile, si è più volte levata di fronte a questo nuovo conflitto in Terra Santa, è stata da molti formalmente accolta con rispetto quale altissimo richiamo spirituale e morale, ma sostanzialmente ricondotta a un “pacifismo” di principio, senza possibilità di reale incidenza concreta. Anzi, non sono mancate le voci di chi rimprovera alla Chiesa ambiguità e indecisione nel (non) difendere, con Israele, i valori di democrazia e libertà della civiltà occidentale, minacciati dal crescente fondamentalismo islamico, radice ideologica di un terrorismo cieco e devastante. Ai ripetuti moniti di Benedetto XVI sembra così riservata la stessa sorte di quelli di Giovanni Paolo II in occasione delle guerre in Iraq.
Al contrario, noi guardiamo all’insegnamento del Papa non appena come richiamo ideale e spirituale, ma come giudizio storico carico di ragionevolezza e di realismo.

Esiste una guerra “giusta”, nelle condizioni attuali? Il diritto-dovere della legittima difesa può implicare l’uso della forza, ma la responsabilità dei governanti, secondo la tradizionale dottrina cattolica, deve rispondere ad alcune rigorose condizioni:
– che il danno causato dall’aggressore sia durevole, grave e certo;
– che tutti gli altri mezzi per porvi fine si siano rivelati impraticabili o inefficaci;
– che ci siano fondate condizioni di successo;
– che il ricorso alle armi non provochi mali e disordini più gravi del male da eliminare (cfr. Catechismo della Chiesa cattolica, 2309).
Si può prescindere da queste condizioni nel valutare la necessità e la proporzionalità dell’opzione militare proprio di fronte alle nuove terribili minacce, che nascono dall’odio assoluto e dall’estendersi sistematico della pratica terroristica propria di Hamas? Si può vincere la guerra e si può sempre perdere la pace, quella pace che Israele e la grandissima maggioranza del popolo palestinese vivamente desiderano.
Il Papa, sempre l’8 gennaio, ha ricordato che a una «difficile, ma indispensabile riconciliazione» non si potrà giungere «senza adottare un approccio globale ai problemi di quei Paesi, nel rispetto delle aspirazioni e degli interessi legittimi di tutte le popolazioni coinvolte». E ha ancora indicato come l’arduo cammino passi anche attraverso il dialogo tra Siria e Israele, il consolidarsi in atto delle istituzioni in Libano, la lentissima ripresa della democrazia in Iraq, la necessaria soluzione diplomatica della delicatissima controversia sul programma nucleare iraniano.

Di fronte alla complessità degli scenari e alla tragicità degli eventi, la tentazione più grande è la disperazione senza futuro, che porta a censurare il grido e le aspirazioni del cuore a una pace duratura e a una convivenza dignitosa, non riconoscendo i germogli di speranza già presenti. La persona del Papa e il suo insegnamento sono uno di questi, insieme alla presenza e alle opere di tanti uomini di buona volontà – cristiani, ebrei, musulmani – in Terra Santa e non solo.
La terribile situazione attuale, con le sue scarse vie d’uscita, quasi obbliga a riconoscere che la pace è impossibile all’uomo, se non la riconosce come dono di Dio. La pace va domandata e i suoi germogli coltivati nell’opera della propria vita, così che qualunque cosa si pensi o si faccia, la speranza non venga meno

TERRA SANTA, IL REALISMO DI BENEDETTO XVIultima modifica: 2009-01-20T20:47:57+01:00da ritina5
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11 pensieri su “TERRA SANTA, IL REALISMO DI BENEDETTO XVI

  1. Ma come? Non era tutta colpa di Hamas, Israele non aveva tutte le ragioni di questo mondo? Qualcuno qua diceva che “quelli” capiscono solo la violenza…
    Forse il sottoscritto non aveva tutti i torti a dire che il Vaticano aveva una posizione critica verso Israele, no?

  2. – che il danno causato dall’aggressore sia durevole, grave e certo:
    leggete il mio ultimo post, vediamo se è durevole, grave e certo.

    Poi il resto mi sembra un’utopia, la guerra è guerra e fa danni, morti, non si possono prevedere le conseguenze di una guerra.

    Che Israele abbia le sue responsabilità siamo tutti d’accordo, che la guerra sia una cosa brutta si deve ribadirlo solo ai cretini.
    Israele ha le attitudini culturali, ideologiche e sociali per guardare avanti, che altri le abbiano non ci giurerei.

  3. “Israele ha le attitudini culturali, ideologiche e sociali per guardare avanti, che altri le abbiano non ci giurerei.”
    Non capisco esattamente cosa intendi.

  4. Guarda il video sul mio blog e forse intenderai.
    Dove c’è ignoranza non c’è ragione, allora è più facile che i popoli siano strumentalizzati, che subiscano influenze negative, che si inietti odio.
    A prescindere dalle colpe di Israele, che non è l’unica responsabile della situazione sociale dei palestinesi.
    Come non lo è l’occidente.
    Io punterei i fari sul mondo arabo, cosi facile a spendere 125.000.000 di euro per acquistare Kaka e cosi poco incline a curare le sorti della propria gente. In fondo sono loro a parlare di leghe e alleanze.
    Per un fine o contro qualcuno?
    Penso che tu possa essere facilmente d’accordo, o almeno d’accordo, o quasi d’accordo.
    Per niente d’accordo non è contemplato.

  5. Una parola per quell’anima candida che da qui viene sempre sul mio blog a elargire le sue attenzioni.
    Non merito tanto, c’è di meglio da fare.
    Saluti.
    Teo.

  6. Davvero non capisco dove vuoi andare a parare.
    In primo luogo, forse sarebbe il caso di smetterla di usare la parola “odio” come un etichetta che appiccichiamo a piacere su chi ci sta meno simpatico. L’odio è un sentimento, e in quanto tale indefinibile (oltreché, aggiungerei, insindacabile: ognuno è libero di provare i sentimenti che vuole). Ammesso e non concesso che gli palestinesi siano gonfi d’odio e gli israeliani siano invece tutti animi gentili, trovo la cosa del tutto irrilevante. Molto prosaicamente, la questione è chi ammazza chi, e se in numeri significano qualcosa, sono gli israeliani che ammazzano i palestinesi. Non c’è dubbio che ci sia un intreccio inestricabile di torti e ragioni, ma mi sembra di un’evidenza solare che nel gioco delle parti Israele è il carnefice e la Palestina la vittima.
    Per il resto, mi pare che tu faccia molta confusione.
    Penso tu debba studiare un po’ la storia del sionismo e la genesi dello Stato di Israele per capire di cosa stai parlando. E’ davvero impossibile, mi spiace, “prescindere” dalle colpe di Israele. A parte che la parola colpa è fuorviante perché i giudizi morali non contano in questioni come questa, la situazione della Palestina è al 200% dipendente da ciò che Israele è ed stato, da ciò che Israele fa e ha fatto dal 1948 ad oggi.
    Stendo un velo pietoso sull’esempio di Kakà, che è tirato per i capelli e che troverei sconcertante se non fosse ridicolmente fuori luogo. Ad ogni modo c’è un paese, anche se non è arabo, che aiuta davvero la Palestina. Quel paese è l’Iran, il quale invia armamenti a quelli che tu chiami terroristi. Dovrebbero fare lo stesso i paesi arabi. Il giorno che Hamas avesse finalmente dei missilli di ultimissima tecnologia, fucili al laser, bombe al fosforo e qualche caccia armato di tutto punto, ecco che gli attentati che tu elenchi con tanto lugubre compiacimento sparirebbero e che non potremo fare a meno di chiamare il conflitto israelo-palestinese per quello che è: una guerra. E sparirebbe anche l’eterno moralismo degli occidentali che ripetono scandalizzati, come se fosse una mostruosità contronatura: “Hamas non riconosce il diritto di Israele di esistere”. Ma perchè mai dovrebbe farlo?

    che aiuta la Palestina,

  7. Guido, sei sconcertante.
    Non mi sottraggo al dialogo intendiamoci, non ci sono i presupposti per il dialogo.
    Hai ragione tu.

  8. Uno che tira a mano Kakà a proposito di Gaza o è un cerebroleso o non sa di cosa sta parlando. Propendo per la seconda ipotesi.

  9. Per la cronaca: chi scrive “Penso che tu possa essere facilmente d’accordo, o almeno d’accordo, o quasi d’accordo. Per niente d’accordo non è contemplato” si qualifica da sé, e dimostra senza bisogno di altre spiegazioni cosa intende per dialogo.
    Che tu ti stia sottraendo al dialogo, quindi, è del tutto ovvio ed evidente. Ma non sorprendente.

  10. La scelta dell’opzione riguardo Kaka mi ha positivamente impressionato, ne sono felice.
    “Penso che tu possa essere facilmente d’accordo, o almeno d’accordo, o quasi d’accordo. Per niente d’accordo non è contemplato”.
    Intendevo (sinceramente) dire che non contemplavo l’ipotesi, perchè certo, magari erroneamente, che avresti caldeggiato almeno in parte il mio discorso.
    Non intendevo certo impedirti di obiettare.
    Evidentemente mi sbagliavo.
    Per questo “sconcertante”, perchè lo sconcerto della tua risposta mi ha sopraffatto al punto da farmi dubitare che possa esserci qualunque intesa tra noi, quindi è assurdo provare un dialogo.
    Vedi, adesso chi spara il primo missile?
    Funziona cosi, suppongo.

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