Lettera aperta agli aquilani

 

Mi ha colpito la lettera che Bertolaso, il capo della Protezione Civile, ha mandato agli aquilani a sei mesi dal sisma. Leggetela tutta, perchè è molto bella. E’ scritta da un uomo il cui compito è impedire disastri e, quando questi accadono, rimediarvi. Non si tratta certo di qualcuno abituato solo a contestare, a trovare ogni maniera per eliminare il proprio avversario,  che vive su una nuvoletta dorata. Quanto di più brutto accade lo vede sempre presente. Ma per costruire, non per distruggere; per mettere a posto, non provocare disordine; trovare soluzioni, non criticare le esistenti. E si vede che lo fa perchè ha a cuore le cose, quello che fa. Ma il tempo, la realtà, feriscono: a volte per cause oltre la nostra capacità, a volte per la nostra debolezza umana
(…) Una città, un territorio sono come una famiglia, un’impresa, una qualsiasi altra realizzazione sociale dell’uomo. Quando l’amore non è coltivato ogni giorno, quando si lavora oggi senza pensare a domani, quando si sta insieme per motivazioni che un giorno erano chiare, ma sulle quali non si è avuto la prudenza di lavorare, qualsiasi crisi può sfasciare tutto quello che abbiamo costruito, su cui abbiamo scommesso, che abbiamo considerato un bene acquisito una volta per sempre. Le famiglie si dividono, le imprese falliscono. Comincia, inevitabile, una stagione di ripensamenti, spesso di accuse agli altri perchè non ci hanno capito, non hanno riconosciuto le nostre ragioni, hanno mandato a rotoli i nostri progetti.

Ed anche il fare, persino quando produce risultati, alla fine lascia l’amaro in bocca. Il riconoscimento che la realtà è altro rispetto a noi e ai nostri sogni e progetti produce tristezza che bagna le ossa come pioggia gelida.
(…) Adesso è il periodo del tempo che non passa, perchè ogni entusiasmo si è raffreddato, e ogni attesa provoca dolore, perchè, costretti dalle cose ad essere realisti, a guardare in faccia la realtà per com’è, arriviamo a non sopportarla più. Anche i fatti positivi che pure accadono intorno a noi sono condivisi con riserva, se riguardano altri e non il proprio futuro.

Ma se pure si attende il momento in cui il lavoro sarà finito, in cui
(…) potremo di nuovo imparare a vivere il tempo nella sua semplicità, considerandolo nostro amico
è evidente che questo alla fine non può bastare: perchè da un lato c’è tutto quanto è stato perduto, e non ritorna, e dall’altra la constatazione che ogni cosa è provvisoria. Quello che è stato ricostruito domani crollerà, non perchè costruito male, ma perchè così accade sempre, oltre ogni nostro possibile sforzo ed eroismo. E’ necessario terminare il lavoro: ma ancora non basta, alla felicità. Non può essere in una motivazione per quanto nobile il senso di tutto; non può essere questo a scacciare la tristezza che rischia ad ogni passo di trasformarsi in disperazione.
La speranza è ciò che fa costruire e ricostruire. Essa può sussistere solo quando c’è un significato alle cose che accadono, quando in esse si riconosce un senso. Un senso che non può essere in cose che si disfano.
Con essa, il tempo è positivo sempre, e non solo nel momento del trionfo. Che altrimenti, come sa chi l’ha assaporato, è l’attimo più vertiginoso e amaro.

Berlicche socio di  SamizdatOnLine

Lettera aperta agli aquilaniultima modifica: 2009-10-08T14:41:52+02:00da ritina5
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