COMPAGNIA ALL’UOMO

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   Cristo è un uomo che si è detto Dio.
Alla domanda di Filippo «Mostraci il Padre», interprete dell’interrogativo degli apostoli che, pur seguendo da alcuni anni Gesù, non capivano bene (come noi non capiamo bene quando sentiamo la parola di Dio o la parola del mistero), Gesù risponde: «Chi vede me vede il Padre». Cristo è l’unico uomo nella storia che si è identificato con Dio, l’unico che ha osato dire: Io sono la via, la verità e la vita. Noi, distratti dalle vicende quotidiane e dalla superficialità del nostro vivere, non realizziamo la sconfinata sproporzione, la lontananza infinita che separa l’uomo da Dio. Ma un animo profondamente religioso, un genio religioso è colui che questa sproporzione sente enorme e la insegna a tutti gli altri: che Dio solo è Dio. Così hanno fatto tutti i grandi nomi nella storia delle religioni, anche Budda, anche Maometto. Mosè, aveva un tale senso della propria piccolezza davanti a Dio da supplicarlo che investisse della missione un altro al posto suo. Unico fra tutti, unico caso al mondo, questo uomo che è Cristo si dice Dio. Come è bello percorrere il Vangelo e sorprendere come i primi uomini, uomini come noi, che hanno seguito Gesù, sono arrivati non ad accorgersi che quell’uomo era Dio, ma a dire, a ripetere certe affermazioni che Lui faceva di sé. È questa la loro professione di fede. Perché gli Apostoli non hanno scoperto che Gesù era Dio, ma, stando con Lui, ne hanno avuto un’impressione grande, tale da «dover» dire: se non dobbiamo credere a questo uomo non dobbiamo credere neppure ai nostri occhi. È per questa evidenza che, pur senza capire bene, hanno ripetuto le sue parole, quelle parole che hanno poi investito la storia e il nostro cuore. (…) È questa la grande strada dell’evidenza, della ragione: è la strada della vita, del rapporto continuo, dell’esperienza quotidiana spartita. Per questo potevano dire: se non crediamo a questo uomo non possiamo aver fiducia neanche nei nostri occhi. La folla invece seguiva Gesù quando aveva interesse e curiosità. E restava colpita perché la parola era vera e la verità porta con sé la propria evidenza. Ma la dissipazione era immediata; la folla lo seguiva anche per passione di sentirlo, ma senza impegnare il fondo del proprio animo, senza coinvolgimento vitale. Nel sesto capitolo di Giovanni, Gesù commosso perché la gente lo segue ha l’intuizione più affascinante della sua vita: «Voi mi seguite perché vi ho sfamato con un po’ di pane. Ma io vi darò la mia carne da mangiare, vi darò il mio sangue da bere». La sproporzione del divino appare, si fa evidente e proprio lì si instaura la resistenza di chi non vuole capire, di chi è scandalizzato perché i criteri e le modalità di quell’uomo scompaginano il suo modo di pensare. «È pazzo, chi può dar da mangiare la sua carne e da bere il suo sangue?». Le insinuazioni si fanno rumore, si fanno vociare intero della folla che abbandona la sinagoga. Il Cristo rimane solo con i suoi, nel silenzio della sera. E rompe quel silenzio con un’altra sconvolgente domanda: «Anche voi volete andarvene?» «Maestro – grida all’improvviso, grida impetuoso, ancora Pietro – anche noi non comprendiamo quello che tu dici, ma se andiamo via da te dove andiamo? Tu solo hai parole che danno senso alla vita». È questa la risposta di chi ha l’umiltà, la fedeltà, l’umanità di seguire Gesù attratto dall’evidenza della verità delle sue parole. Ma chi non sa seguirlo, chi non osa lo sforzo di una familiarità, di una consuetudine di vita non arriva ad evidenziare la verità e non troverà risposta vera, personale e matura all’interrogativo fondamentale, definitivo che Gesù gli rivolge: e tu, chi dici che io sia? Come possiamo rispondere a questa domanda noi che non siamo stati alle nozze di Cana, che non abbiamo visto il paralitico guarire, che non abbiamo assistito al funerale di Naim, che non lo abbiamo seguito per tre giorni nella steppa, dimenticando persino il cibo? La familiarità con Lui da cui nasce l’evidenza della sua parola come unica che dia senso alla vita, come possiamo viverla? Il modo c’è: la compagnia che da Cristo è nata ha investito la storia: è la Chiesa, suo corpo, cioè modalità della sua presenza oggi. È perciò una familiarità quotidiana di impegno nel mistero della sua presenza entro il segno della Chiesa. Di qui può nascere l’evidenza razionale, pienamente ragionevole, che ci fa ripetere con certezza ciò che Lui, unico nella storia dell’umanità disse di sé: Io sono la via, la verità, la vita.

Dal “Volantone” di Pasqua del 1982

COMPAGNIA ALL’UOMOultima modifica: 2008-05-19T01:13:40+02:00da ritina5
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