Graziella

SE GLI OCCHI DICONO DI UN IDEALE TRADITO

Il caso Milano, il ruolo dei medici
di Davide Rondoni
Tratto da Avvenire del 11 giugno 2008

E adesso che emerge con sfrontata micidiale chiarezza che malattia di avidità può acceca­re dei medici…

E adesso che emerge, in una re­gione che sta provando a darsi una sanità miglio­re, quale cupidigia può accecare chi dovrebbe pensare solo a curare bene… E adesso che il fred­do dio denaro ha introdotto la sua mano schele­trica nelle stanze dove il calore della vita lotta per non perdersi; e adesso da dove ripartire? Dalle in­finite polemiche sui modelli sanitari da adottare? Dalla sterile e ormai superata contrapposizione tra sanità gestita dallo Stato e l’intervento dei priva­ti? Per poi concludere, ovviamente, che occorre uno Stato flessibile e un privato-sociale animato da ideali veri? È ovvio, insomma, che il delicato campo della Sanità non può essere terreno solo di uno Stato lento e burocratico, causa di tanti e­sempi di malasanità, o di un privato che ama i sol­di più di tutto, tanto da violare le vite altrui. Ma da dove ripartire dunque, dalle polemiche?

No, occorre guardare i medici negli occhi. Guar­dare quegli occhi che migliaia di volte al giorno, in migliaia di città d’Italia vengono guardati in corsie, cliniche, ambulatori da gente che vor­rebbe leggervi un poco di speranza, una traccia di sollievo. Occorre fissare gli occhi dei nostri dot­tori. Dietro le lenti, se ne hanno. Sotto fronti se­gnate da decenni di carriera, o aperte, lanciate a una vita fantasticata. E guardare se negli occhi hanno qualcosa che bru­cia come una passione o se sono opachi, spenti e sottili come quelli di tutti i calcolatori di professione. Se non hanno quella fiam­ma negli occhi, sono me­dici da temere. Intendo la fiamma, o chiamatela luce o come vi pare, che anima chi sa di avere un grande compito.

I grandi compiti, come in­segnano splendidi roman­zi come ‘Corpi e anime’ o anche tanti film sui dottori, non si eseguono so­lo in grandi epiche occasioni. Ma di più nella pe­nombra delle decisioni invisibili, dei sacrifici non ripagati, delle scelte senza ricompensa, e nella ba­nalità quotidiana. E’ in quei frangenti normali che la fiamma si può spegnere, lo sguardo farsi torvo, inaridito. Dalla fine dell’Ottocento la figu­ra del medico è stata sempre al centro di storie che ne ritraevano l’aspetto ‘eroico’ e i grandi ri­schi. Ancora oggi molte delle fortunate fiction te­levisive ambientate in ospedali recano traccia, magari con linguaggio ironico, di tale ‘eroismo’. E proprio in un momento in cui tante sono le sfi­de sulla vita umana e ai medici si guarda per es­sere guidati in nuovi territori o posti al riparo da violenze travestite. Forse in troppi hanno pensato che si tratti di cose lontane dalla realtà, finzioni, appunto.

Ma se finti sono gli ospedali, le infermiere, i no­mi che si mostrano in quei romanzi o film, rea­le, realissima è la necessità che lo sguardo del medico sia abitato da un fuoco ideale. Se no, l’al­ternativa tra scadimento burocratico e impiega­tizio o l’oscura rapacità sarà l’unica cosa che ci rimane. Allora occorre ripartire guardando i me­dici negli occhi: avete quel fuoco? da dove vi vie­ne? come lo alimentate? Non a caso la Chiesa ha tra i suoi santi anche alcuni medici, e tra questi il lombardo Riccardo Pampuri. Cioè uno da guar­dare, da cui imparare il fuoco mentre si appren­dono nuove tecniche. Perché tutti si può diven­tare rapaci, o uomini spenti, se non si imitano e­sempi di uomini accesi. Oggi nell’Italia che sempre è ferita, chi fa il me­dico ha un compito doppio, un sacrificio doppio da compiere. Se voleva una vita tranquilla, dove contano gli agi e gli onori, ha sbagliato mestiere. E le conseguenze le paghiamo tutti.

Grazie a Il Mascellaro 

SE GLI OCCHI DICONO DI UN IDEALE TRADITOultima modifica: 2008-06-12T00:48:47+02:00da
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