LUNGO SEI ANNI DI PRIGIONIA
LA PREGHIERA IL FIATO CHE L’HA TENUTA IN VITA
DAVIDE RONDONI
In sei anni di prigionia, strappata ai figli, e senza sapere se il giorno che viveva poteva esser l’ultimo, lei avrebbe potuto trovare mille motivi per bestemmiare Dio. Per rinnegarlo. Per pensare che la vita, come dice un personaggio di Shakespeare, sembra una commedia realizzata da un ubriaco. Invece no. Invece le prime parole in conferenza stampa sono state: chiedo di ringraziare Dio e la Vergine… Come se mentre i potenti e le polizie di tutto il mondo si affaccendavano per raggiungerla, Dio e la Vergine fossero stati sempre lì con lei. La corona del rosario, fatta con una corda, è stato il suo legame con la vita. Con il senso della vita. E dunque il legame che l’ha strappata alla disperazione e alla follia.
Per questo, la signora che si è trovata al centro di un intrigo internazionale ha detto per prima quella cosa in conferenza stampa. Come se dicesse: buongiorno. Come se dicesse una cosa normale. Lei che ha vissuto sei anni del tutto anormali, eccezionali. Che deve aver avuto tutti i pensieri possibili a un essere umano. E gli sbalzi tra conforto e sconforto. Ha detto di ringraziare Dio e la Vergine come se parlasse dell’aria che ha respirato. La preghiera detta tutti i giorni, all’alba da sola, o alla stessa ora in cui sapeva che la diceva sua madre, è stata il fiato che l’ha tenuta in vita. Perché la preghiera di lei somiglia alla preghiera che da secoli dicono gli uomini e le donne semplici. La preghiera che è come un respiro. Che è il gesto di non lasciarsi andare. Di dire a Qualcun altro dammi la forza. È il gesto delle persone realiste. Cioè di quelle che nessuno ha davvero tutta intera la forza per reggere la vita, che si svolga per sei anni di rapimento nel bosco, o per sessant’anni di vita in città, che sia per sei anni di privazione e pericolo, o per trent’anni di fatica e di lavoro. Lei è stata realista, ha pregato. È realista, è normale. Ma è anche un fatto eccezionale, quasi come il fatto che sia stata liberata. Sì, il fatto che pregasse tutti i giorni, che non disperasse, insomma che dopo sei anni abbia il nome di Dio e di Maria sulle labbra, è un fatto eccezionale quasi quanto il fatto che l’abbiano liberata. Sarebbe stato eccezionale anche se non la liberavano. Sarebbe stato il segno che lei era già in fondo libera. Perché chi l’ha rapita non ha potuto esercitare la più dura forma di potere sull’altro uomo, quella di farlo disperare. Chi l’ha rapita non ha potuto imprigionarla del tutto. Non ha potuto rubarle l’anima e il pensiero. Non ha potuto convincerla nemmeno che la sua vita fosse solo nelle mani di chi l’aveva in ostaggio. Lei sapeva che era anche in altre mani. In questo aveva già sconfitto i suoi rapitori. Il rosario all’alba, e quello di mezzogiorno, detto in comunione con la madre, era già la sconfitta dei suoi rapitori. Era il segno che lei era ed è di un Altro. Sconfitta della disperazione e sconfittadei rapitori.Così quando in conferenza stampa ha innanzitutto usato quelle parole di ringraziamento a Dio e alla Vergine, Madame Betancourt ha mostrato ai potenti e ai rapitori in che mani è il mondo. E in che mani lei si era messa. Ha detto una cosa eccezionale, e però realista. Normale come dire: buongiorno. Ed eccezionale come dire: sono libera. La preghiera è il respiro degli uomini liberi. Non degli uomini e delle donne a cui va tutto diritto, o a cui manca qualche rotella. E’ il respiro normale di quella cosa eccezionale che si chiama libertà. Madame lo ha mostrato. I suoi lunghi sei anni non sono stati solo un pozzo oscuro, in cui è inimmaginabile come si potesse sentire. Sono stati anche il luogo dove non era mai sola. Alla faccia dei suoi rapitori, e di chi crede – con tante forme di rapimento, di separazione, di nascondimento – di possedere l’uomo, o di farci sentireda soli e disperati.Da una donna che hanno tenuta prigioniera ci arriva una piccola grande lezione di libertà. E un invito a cercare il respiro che lega alla vita e a Dio, più delle mille chiacchiere che ci lasciano più soli e più schiavi.
Da Avvenire
Questa è la Fede, questa è la nostra vittoria sul mondo!
Caspita, che lezione, per tutti noi.
Mi vengono spesso in mente le parole di mia nonna, quando da bambina (e poi da ragazza e da donna) la interrogavo sulla paura, sulla morte. “Nonna – le chiedevo – tu hai paura di morire?”. E lei, con la semplicità che le era propria, invariabilmente mi ha dato sempre la medesima risposta per i 30 anni in cui Dio mi ha fatto la grazia di averla : “Di cosa dobbiamo avere paura? Noi preghiamo e ci affidiamo a Dio. Se non facciamo del male, perché mai dovremmo avere paura?”.
I nostri nonni avevano un’altra saggezza, ormai perduta. Anche noi cristiani moderni abbiamo paura dell’ignoto, o quello che per noi è ignoto, mentre anche quello è un Incontro! Un mio amico cantautore cantava: ” Quando noi vedremo tutto, quando tutto sarà chiaro, pensa un po’ che risate e che paure sfatate!”. Credo che ci faremo un sacco di risate; checchè ne pensino alcuni che ci credono dei poveri illusi…! Ti abbraccio.