“DITEMI PERCHE’ VIVO” (1 parte)

Cominciamo oggi la pubblicazione (in due parti) di un intervento di S.E. Luigi Negri, vescovo di S.Marino, sull’emergenza educativa. E’ bellissimo. Bello per la profondità e la chiarezza che fa sulla situazione odierna. Bello perchè si sente profondamente adeguato alle esigenze del cuore mie, tue, di tutti. E bello perchè è chiaramente verità. Ecco la prima parte: “Ditemi perchè vivo“.

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9 febbraio 2009 Collegio Rotondi
MONS. LUIGI NEGRI “EMERGENZA EDUCATIVA”

Cercherò di contribuire al cammino che avete iniziato cercando di identificare all’interno dell’itinerario che avevo pensato e che è in questo volume  di far reagire l’evento di queste ore, di questi giorni di vergogna intellettuale e morale. Le cose che accadono devono essere lette in funzione di una presa di coscienza più grande della nostra identità, per un aiuto a vivere la nostra responsabilità. Perfetta gioia diceva san Giacomo Fratelli ritenete di essere posti in prove di ogni tipo, perché le prove maturano la fede e la fede fa nascere la carità.”

Vorrei tentare di leggere l’emergenza educativa in questa stretta di eventi che non lasceranno più la società come prima: avviene qualcosa che segna uno sparti acque terribile fra quello che c’è stato fino ad oggi e quello che ci sarà da oggi in poi. Una premessa perché Dio vince nella vita e nella morte. La vita e la morte sono di fronte al mistero dell’essere di Dio e nel mistero di Cristo sono condizioni nelle quali il Signore assume la responsabilità di salvarci, di realizzare in noi il suo piano di salvezza.

Mi hanno chiesto le mie reazioni: da un lato profondo c’è lo sgomento perchè ha vinto il male, la violenza diabolica della tecnoscienza che terribilmente celebra il suo nefasto, ha vinto questa battaglia.. Ho un sentimento più profondo che non elimina il primo, come la certezza della resurrezione non elimina il dolore, non dobbiamo mai dire le parole della certezza pensando così di eliminare il dolore, dobbiamo dire le parole della certezza cristiana passando attraverso il dolore, altrimenti la gente non ci crede, non si può parlare della resurrezione se non dopo la morte. Ho un sentimento più profondo: che la Madonna se la sia venuta a prendere prima che si compisse il protocollo che era stato così rigorosamente fissato e il Signore l’abbia presa con sé per dire che era Lui padrone della vita di Eluana e non suo padre  né i medici che avevano così rigorosamente programmato la sua morte. Sono convinto che ci sia del vero in questi miei sentimenti ai quali io mi affido. Ciò non toglie la vergogna che provo come italiano per quello che è successo, ma la convivenza di questi due sentimenti mi sembra possano consegnarci ad un’ultima pace perché Dio sa quello che fa.

Vorrei formulare il mio intervento in tre momenti.

Un primo momento: dove sta l’emergenza, dove si vede l’emergenza? L’emergenza, cioè una situazione di crisi che sembra irrisolvibile, l’assoluta  sproporzione tra la responsabilità che gli adulti dovrebbero avere nei confronti dei giovani e una loro incapacità che diventa un abbandono dei giovani al vuoto della vita riempita da un’assenza totale di valori che fa diventare cultura gli impulsi più bestiali. È una dialettica tra un bisogno di cultura e un’impossibilità a trovarlo. Un bisogno di cultura: che cosa significa cultura? La cultura è  che vengano date le ragioni per vivere (George Bernanos) non è un problema di sapere ma di essere, è che uno sia aiutato ad essere se stesso, perché non è già se stesso quando viene al mondo, quando viene al mondo è una potenzialità aperta, è una tensione, è un desiderio, è una nostalgia dello stato paradisiaco, è una tensione verso qualcosa che non si possiede. Non possiedo me perché non possiedo una coscienza chiara della mia identità: chi sono io, da dove vengo, dove vado. Qual è il senso di questa tensione fra un passato che sembra sprofondare nel nulla e un futuro che sembra sprofondare nel nulla.  Come ha detto il Papa nella “Spe Salvi” citando un’iscrizione su una tomba pagana, che lui confronta con i sarcofagi cristiani:, “Così come nasciamo velocemente dal nulla più velocemente finiamo nel nulla” Io non mi possiedo vuol dire non che ho il dominio delle mie passioni la chiarezza intellettuale su tutti i problemi. Il possedere non è un sapere, è un manipolare. Non possiedo il mistero della mia vita, anzi, il mistero della mia vita quando emerge la mia coscienza vuol dire che emerge a me stesso il problema della mia vita, vuol dire che devo mettermi in movimento. Diceva Pascal: “l’uomo supera infinitamente l’uomo”. Il sentimento fondamentale dell’esistenza non è il possesso, è l’affetto come diceva san Tommaso d’Aquino “Amare il mistero di me e delle cose. Mettersi in moto verso il senso delle cose che non si possiedono ancora vuol dire aprirsi ad una dimensione misteriosa della vita, vuol dire che la vita non è solo quello che vedo, che sento, che tocco, che capisco, che razionalizzo. Una domanda di senso, verità, bellezza, di bene, di giustizia: questa è la cultura. Un uomo, se è vigile e perciò sta camminando verso la verità della sua vita, è uomo soggetto della cultura, non è la scienza, non è la storia, non è l’arte, non sono le istituzioni soggetti di cultura, le istituzioni esprimono una cultura, proteggono e possono incrementarla. Pensate a tutta la cultura delle scuole (la scuola nasce come incremento critico della cultura di un popolo) ma incremento critico: La cultura non la fa nascere la struttura universitaria o delle scuole superiori o elementari. La cultura non nasce dalla scuola ma dalla coscienza di un uomo e la coscienza di un uomo è la coscienza di rapporti, di rapporti fondamentali. Il primo rapporto fondamentale  è il rapporto familiare. Io sento questo desiderio, mi muovo, dicendolo o non dicendolo chiedo ai più grandi “ditemi perché vivo”, chiedo ai più grandi delle ragioni per vivere. Sia che venga esplicitato verbalmente sia che si esprima in un silenzio carico di attesa. La persona incomincia a vivere coscientemente il suo cammino umano se gli è data una ragione per vivere. E qui la dialettica sembra apparire in una sostanziale impossibilità ad essere risolta perché il mondo adulto, nella stragrande maggioranza dei casi non ha niente da comunicare e il giovane che chiede questa comunicazione riceve la delusione più grave della vita ed è il rifiuto. Bernanos nel 1914, (data emblematica, inizio della crisi della società cristiana e la sostituzione violenta ad essa di una società atea o ateistica, e si creò artificiosamente per accelerare il processo quella che venne chiamata la prima guerra mondiale, che soltanto Benedetto XV ebbe il coraggio di chiamare con il suo vero nome “una inutile strage”) dice “Abbiamo chiesto ai nostri adulti le ragioni per vivere, per tutta risposta ci hanno mandato a morire sulla Marna.” La Marna è la battaglia che ha ingoiato nei primi 4/5 giorni di guerra nel giugno del 1914 300.000 giovani francesi e tedeschi azzerando due generazioni di questi paesi.

Nel 2009 cosa succede? Succede che questa gente rifiutata alla quale non viene data una ragione per vivere consuma alcool in maniera spropositata, usa la droga, ha tutta la vita concentrata su divertimenti che per definizione accettata sono fuori dalla regola, anche dalla mentalità adulta. Sono diventati parte dell’immaginario comune, come il leggere sui giornali le stragi del venerdì, sabato e domenica. Ma al di là di questa situazione terribile, ma diventata  la norma, questi atteggiamenti aberranti trovano spesso la difesa da parte dei genitori, una serie di attenuanti generiche o specifiche.
Questa è la questione: una domanda che rimane, che non è finita, che ritorna periodicamente, ciclicamente e che si delude quanto più gli interlocutori privilegiati di questa domanda non sono in grado di rispondere.

Un secondo passaggio: perché gli adulti non sono in grado di rispondere?
Si potrebbe dire che non hanno una consapevolezza vera della propria identità, una coscienza chiara della propria identità, vive una sproporzione tra la verità e il bene nel senso che il bene è un tentativo inesausto di applicare il vero alla vita come ci diceva il grande Platone, ma l’adulto è quello che sa chi è e quindi sapendo chi è lo dice a tutti facendo tutto quello che è chiamato a fare, (sia che mangiate, sia che beviate, sia che facciate qualsiasi altra cosa fatela per Cristo). Non c’è nella comunicazione delle ragioni per vivere, non ci può essere bisogno di tanta verbalizzazione di tanta capacità di parlare. Tra quelli che sono qui, quelli di una “certa età” hanno imparato la cultura fondamentale della vita da una padre e da una madre che non sarebbero stati capaci di spiegazioni di quello che vivevano, ma ce lo hanno comunicato vivendo.

Questa realtà adulta perché non è in grado di comunicare la cultura, perché non è se stessa. Non si è in grado di comunicare la cultura non perché non si è andati a scuola. Il mio papà e la mia mamma avevano fatto la quinta elementare, non “sapevano” ma io ho imparato la cultura da loro. Tutto quello che ho incontrato e imparato dopo sono serviti a consolidare, a rendere più critica, ad appassionarmi alla cultura. La mia mamma non mi ha mai detto delle “parole ideali”. Era lei un ideale vivo.

Io credo che le ragioni siano due.
C’è la realtà adulta che ha rifiutato la tradizione della Chiesa consapevolmente o inconsapevolmente, con maggiore o minore responsabilità ma vive in un vuoto e non è ancora riuscita a formulare una sostituzione passabile, dignitosa dei valori che ha rifiutato. Non sono più cristiani ma non sanno ancora cosa sono. In questo vuoto, in questa confusione, si consegnano all’ideologia dominante, ragionano come la televisione dice di ragionare, assumono in modo totalmente acritico quei valori ideali, (si fa per dire), che attraverso l’impero massmediatico vengono imposti alla nostra società come un riferimento ideologico inevitabile, anzi il vero riferimento ideologico perché se una cosa è detta dalla televisione è vera. Quando ero ragazzo c’era una realtà di non credenti in Dio ma che credevano nella ricerca, in certi valori ideali laici, nella giustizia, nella libertà, nel sacrificio. Quanto più diventavano adulti e intelligenti capivano che i loro ideali avevano un ultimo fondamento cristiano. E per fortuna la nostra società ha ospitato valori implicitamente cristiani ben oltre il rifiuto che la società ha fatto del cristianesimo. Ma adesso non è più possibile questo. Adesso il rifiuto è stato così radicale che non c’è più niente, se non questa ideologia sostanzialmente nichilista. La saggezza della televisione è che non c’è niente di chiaro, non ci può essere niente di vero se non ciò che dice la scienza (la scienza è quella di Piero Angela). Dentro questo vuoto è come se gli adulti dicessero “arrangiatevi voi, (non lo dicono ma è così) ci sono delle realtà a cui noi deleghiamo quello che dovremmo fare noi perché non siamo capaci. Questa delega gli adulti che non sono cresciuti ce l’ hanno dentro. È sempre sbagliato delegare, venti trent’anni fa la delega colpiva due istituzioni significative: la Chiesa e la scuola. La famiglia non si sentiva sicura, se si sentiva sicura era in mala fede, ma era come se si  dicesse incapace di dare una cultura ai miei figli però spero che la scuola e la Chiesa gliela diano. .In questa situazione che si è andata evidenziando nella sua negatività dobbiamo mettere in conto la crisi della scuola e la crisi della Chiesa. Una crisi della scuola che è radicale perché non è destinata ad offrire la cultura come ragione di vivere. La scuola ha un’altra funzione: prende la cultura, accetta, si riconosce in una cultura, la accoglie e mette in atto un cammino per la maturazione critica di questa coscienza.

La scuola non è il primo soggetto che dice che la cultura è questa. È una serie di strumenti, è una convivenza, sono contenuti di sapere, sono metodologie di affronto della realtà che maturano la coscienza critica della posizione di partenza. La nostra scuola non è così. Nel succedersi degli avvenimenti negli ultimi centocinquant’anni la nostra scuola pretendendo di essere eminentemente istruttiva e quindi lasciando fuori la preoccupazione educativa come una preoccupazione non legittima che non ha il suo posto nella scuola, ha voluto essere eminentemente istruttiva. Ma l’istruzione non è pura, non è neutra, avviene sempre in un orizzonte ideologico. Nella nostra scuola è data un’istruzione secondo un’ideologia che Benedetto XVI ha definito tecno scientifica. L’ideologia delle nostre scuole statali frequentate dalla stragrande maggioranza dei bambini e dei ragazzi è tecno scientifica, investe tutte le materie e nella maggior parte dei casi ne altera la natura profonda. Questa impostazione che è oggettivamente sbagliata non ha fatto tutto il male che avrebbe potuto fare per l’enorme contributo positivo dato da generazioni di insegnanti che a tutti i livelli, dalla scuola primaria fino alla scuola media superiore (l’università è un altro mondo) hanno ridotto questo vuoto umano, attivando certi rapporti umani a cui i ragazzi hanno potuto aprirsi e da questi rapporti umani più di una volta è passata una proposta culturale. Però nel suo complesso delegare alla scuola il fattore culturale è sbagliato, soprattutto perché i tempi ormai sono talmente chiari.. Oggi  il tipo di proposta ideologica che pervade le strutture scolastiche è teconscientifica ed incapace di rispondere ai bisogni della vita …(segue)

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Un pensiero su ““DITEMI PERCHE’ VIVO” (1 parte)

  1. Ricambio i saluti e auguro buon lavoro a tutti i collaboratori di questo blog. Che N.S. Gesù Cristo unitamente alla Sua Mamma Santissima guidi, protegga ed illumini sempre il nostro lavoro

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