Graziella

COME PEZZI DI RICAMBIO

Semplicemente allucinante!

Davvero la vita finisce quando ha “perso significato”, come affermano certi politici e mass-media? E cosa fare di questa vita che “finisce” e ciononostante continua? Un’allarmante risposta indiretta viene dalla letteratura medica: un recente studio pubblicato sul New England Journal of Medicine (NEJM), spiega come stia entrando nell’uso per i trapianti l’asportazione di organi nei pazienti con gravissimi danni neurologici dopo il solo arresto cardiaco. “Nei protocolli per questo tipo di donazione di organi” spiega l’editoriale del NEJM “i pazienti che non sono in morte cerebrale ma su cui è in corso una sospensione dei trattamenti di supporto vitale, vengono monitorizzati per cogliere l’insorgenza di arresto cardiaco” e “sono dichiarati morti dopo 2-5 minuti dall’arresto cardiaco e gli organi vengono rimossi”. Continua così l’editoriale: ”Sebbene tutti concordino che molti pazienti possano essere ancora rianimati dopo 2-5 minuti di arresto cardiaco, i sostenitori di questi protocolli dicono che possono essere considerati morti perché è stata presa la decisione di non rianimarli”. Per i neonati, avverte James Bernat, sempre sul NEJM, il periodo scenderebbe a 75 secondi. Addirittura, si scrive, esistono protocolli in cui una volta dichiarata la morte cardiaca, viene garantita l’ossigenazione artificiale solo agli organi addominali da trapiantare occludendo l’aorta che porterebbe sangue a cuore e cervello, cosicché non si infici la dichiarazione di morte.  D’altronde, lasciando passare del tempo dopo l’arresto cardiaco, gli organi iniziano a deteriorarsi ed essere inservibili per un trapianto e inoltre qui si parla di persone con danni cerebrali gravissimi; ciononostante, dei problemi etici sono presenti. “Molti obietteranno che non si dovrebbero togliere gli organi e provocare così la morte.” Ma, si risponde, “nelle moderne rianimazioni le decisioni etiche sono già la causa terminale di morte”. E “sia che la morte avvenga come risultato di sospensione della ventilazione o di espianto di organi, la condizione perché sia etica è il consenso valido del paziente o del tutore. Col consenso non c’è danno o errore nel togliere gli organi prima della morte, sempre che si somministri anestesia. Con le giuste garanzie, per l’asportazione di organi non morirà nessuno che non sarebbe morto come risultato della sospensione delle cure vitali”.

E’ bene rileggere con calma queste parole, per vedere dove arriva la distanza tra la realtà clinica e quella dettata dalle condizioni di un’etica “utilitarista” oggi molto diffusa. D’altronde, sul sito Practical Ethics dell’Università di Oxford, eminenti filosofi così descrivono la situazione-trapianti: “C’è un altro modo più radicale per aumentare la raccolta di organi. Potremmo abbandonare il principio del donatore-morto. Potremmo per esempio permettere che gli organi vengano presi da persone che non sono in morte cerebrale, ma che hanno un danno cerebrale talmente grave che resteranno permanentemente incoscienti, come Terry Schiavo, che sarebbe stata lasciata comunque morire rimuovendo il trattamento medico”. Ecco allora che arriviamo al nocciolo della questione: l’utilitarismo etico che ingaggia la lotta col rispetto dell’integrità della persona. E ritornano in ballo i casi di Terry Schiavo e simili, su cui non ci si attarda a domandare le prove di una morte cerebrale, che vengono considerati socialmente morti quando morti non sono ancora; il tutto, magari per il bene di terzi.

Carlo Bellieni 

COME PEZZI DI RICAMBIOultima modifica: 2009-04-03T01:52:14+02:00da
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