La speranza che nasce sotto le bombe

«Una Onlus per aiutare i bambini come faceva Nicola». Il ricordo diventa opera per la famiglia di uno dei militari uccisi in Iraq tre anni fa

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Era il 27 aprile 2006 quando a Nassiriya persero la vita, per mano di un vile attentato, i militari dell’esercito italiano Nicola Ciardelli, Carlo Di Trizio, Franco Lattanzio, il maresciallo dei carabinieri Enrico Frassinito ed il caporale della polizia militare romena, Bogdan Hancu. A distanza di tre anni, dell’attenzione che i media riservarono allora all’attentato è rimasto ben poco. Eppure la memoria di quelle bare rientrate in patria avvolte nel tricolore è rimasta viva nel paese. A sostenerla, senza piagnistei, ma con forza, tenacia e opere, le famiglie degli uomini scomparsi in quella terra lontana. A Pisa, lunedì 27 aprile, giorno del terzo anniversario dell’attentato, Tempi ha incontrato Federica Ciardelli, sorella di Nicola, a capo di una associazione onlus nata in suo nome per aiutare i bambini provenienti da ogni parte del mondo e bisognosi di cure mediche. Con la collaborazione delle istituzioni e delle forze militari, Federica ha organizzato una giornata commemorativa, che ha segnato in maniera molto incisiva la sensibilità della città. «Il significato di questa giornata, che non a caso abbiamo voluto definire “giornata della memoria”, è quello di ricordare Nicola e gli altri caduti in un modo che non fosse sterile e fine a se stesso, ma concreto, mantenendo viva la memoria di un evento che ha profondamente scosso la vita del nostro paese attraverso la trasmissione di un messaggio di valore, speranza e solidarietà. Abbiamo voluto estendere a tutti la partecipazione a questa giornata, dalle più alte cariche dello Stato ad ogni singolo cittadino, non perché volessimo enfatizzare la figura di Nicola, ma perché ci è sembrato importante trasmettere in modo semplice, senza retorica, questo messaggio di speranza e di pace».
Ma chi era Nicola Ciardelli? Le cronache parlano di un maggiore del 185° reggimento Paracadutisti ricognizione e acquisizione obiettivi Folgore impegnato sul fronte iracheno nella missione Antica Babilonia. Taluni hanno contestato la definizione di “missione di pace” in riferimento a questo tipo di operazioni, ma l’esperienza e l’attività di suo fratello, non può altro che inserirsi in questo contesto. Ci può raccontare che cosa rappresentava per lui l’impegno in quella terra martoriata dalla guerra?
Nicola ha partecipato a numerose missioni di pace, sempre animato da una forte determinazione, un altissimo senso del dovere, ma soprattutto una grande sensibilità verso i più deboli e quindi verso i bambini. Le motivazioni che lo portavano ogni volta a partire non erano dettate da uno spirito di avventura o dalla ricerca di facili guadagni, ma dalla convinzione di portare un contributo utile per migliorare le condizioni di chi ogni giorno vive in condizioni estreme, a rischio quotidiano della propria vita.
Dopo la morte di Nicola, lei, altri familiari ed alcuni amici, avete deciso di fondare l’associazione Nicola Ciardelli Onlus per onorare la sua memoria e soprattutto per aiutare i bambini bisognosi di cure di quelle regioni e non solo. Cosa vi ha spinto a farlo? Molti di coloro che potreste aiutare potrebbero essere figli, parenti, amici, proprio dei carnefici di quella strage. Qual è stata la leva che vi ha permesso di superare il dolore e tradurlo in un’opera di solidarietà?
Il desiderio di tradurre il nostro dolore in atti di solidarietà è stato praticamente immediato. L’ultima volta che avevo parlato con Nicola, mi aveva molto impressionato il suo turbamento per le difficoltà riscontrate nel trasportare un bambino iracheno ammalato nel nostro paese. Nei giorni immediatamente successivi alla sua morte, ho potuto parlare con padre Mariano Asonis, capellano della Brigata Sassari, che ha vissuto gli ultimi mesi a contatto diretto con Nicola e da lì è nato tutto. Nella realtà, né io e neppure la mia famiglia, abbiamo mai covato sentimenti di odio. Dolore e sofferenza certamente, ma mai odio. È come se ricordare Nicola volesse dire alimentare la speranza. Abbiamo voluto collegare la commemorazione dell’attentato con le attività portate avanti dall’associazione che presiedo, proprio perché pace, speranza e solidarietà costituiscono il messaggio che con questo progetto e con questa giornata si vuole trasmettere a ciascuno, perché se un evento tragico e doloroso come la morte può strapparci una persona cara, non può però cancellare i sentimenti che quella persona portava nel cuore e dei quali è per noi oggi un dovere farci portavoce affinché si rafforzino sempre di più. Oggi l’istituzione militare si avvicina all’universo dei bambini con tante attività e tanti giochi, proprio come Nicola, nel corso delle missioni, si è avvicinato a questo meraviglioso universo. Io credo che se noi siamo capaci di guardare con il cuore agli eventi di Nassiriya, al sacrificio delle vite di tanti militari italiani, che costituiscono un grande patrimonio di pace per il nostro paese, allora possiamo vedere come, con la sua vita, Nicola ci ha indicato una particolare quanto straordinaria via per la pace, che ha avuto la vita dei bambini al primo posto.
Che cos’è la Casa dei bambini di Nicola?
La Casa dei bambini di Nicola è un centro che sarà destinato all’accoglienza dei bambini provenienti da ogni parte del mondo e bisognosi di cure mediche in Italia, che verranno qui accolti unitamente ai loro familiari. È un progetto nato in collaborazione con la Croce rossa italiana, con l’ospedale Meyer di Firenze, che si occuperà della cura di questi bimbi, della Regione Toscana e di altri soggetti, che si sono interessati più recentemente e che potrebbero portare alla possibilità di ampliare il progetto originario, consentendoci di garantire ospitalità ad un maggior numero di bambini.
Nello statuto della vostra associazione avete scritto: «Il nostro obiettivo è portare avanti il progetto di Nicola e far sì che anche da un evento tragico come quello del 27 aprile 2006 possa nascere un messaggio di speranza». In questi primi anni di attività, in che modo siete riusciti ad alimentare e rendere vivo questo anelito?
Io mi sono accorta di una cosa: parlando con le persone si ottengono grandi cose. Non servono discorsi pomposi o le prime pagine dei giornali. È necessario incontrare le persone, guardarle negli occhi. Tutte le volte che mi è stato possibile farlo, ho percepito sensibilità e genuinità che poi si sono tradotte in aiuti concreti. Sì, io dico che la speranza va alimentata continuamente con opere, coraggio e umanità.
Fonte Tempi

La speranza che nasce sotto le bombeultima modifica: 2009-05-07T10:33:10+02:00da ritina5
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5 pensieri su “La speranza che nasce sotto le bombe

  1. Il buon Cavallari come al solito dimentica le regole elementari del buon giornalismo e antepone le sue opinioni ai fatti. Nessuno può essere sempre neutrale ed eseimersi da un giudizio, ma si dà il caso che un conto siano le notizie, un conto le sue interpretazioni, e da un giornalista voremmo avere soltanto le prime: le interpretazionone ce le mettiamo noi lettori.

    Passi per il “vile attentato”, retorica comprensibile anche se non giustificata (vili attentati sono quelli delle Brigate Rosse ad inermi civili, non a militari “invasori” in una zona di guerra). Ma la perla è questa:”Taluni hanno contestato la definizione di “missione di pace” in riferimento a questo tipo di operazioni, ma l’esperienza e l’attività di suo fratello, non può altro che inserirsi in questo contesto.” Certo. Ovvio. Chiaro. Non c’è bisogno di giustificare questa affermazione. Che “taluni” abbiano contestato la definizione è irrilevante: Cavallari dice il contrario e tanto basta. Ma tanto basta anche a me per fermarmi lì e non andare più avanti: un conto è il giornalismo, un conto è l’apologia a priori.

  2. Le regole del buo giornalismo sono: chi, come, dove, quando, perchè. Mi pare che Cavallari le abbia assolte tutte egregiamente. Poi, Cavallari, è anche scrittore, dunque scrive i suoi articoli non come un’agenzia tipo Ansa, che da le news, prima, poi magari si approfondisce, ma come chi osserva, riferisce e, nei limiti del possibile, offre anche suggerimenti pratici e reali. In qualsiasi lavoro, il soggetto umano, esprime la propria personalità; la vogliamo togliere ai giornalisti e agli scrittori? Se non piace questo tipo di giornalismo si puo’, liberamente, leggere altro.

  3. Questo è poco ma sicuro: e infatti non mi sogno certo di dare dei soldi a un giornalaccio come Tempi.

  4. Quando si dice che dalla morte forisce la vita…
    Speriamo che possano coronare questo bel sogno: sarebbe una bellissima testimonianza di Vita che non si ferma davanti a niente, nemmeno davanti ad un lutto così difficile da digerire

    L’oste

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