L’ormai ex ministro della Salute emana nuove linee guida sulla legge 40 e raggira la norma che vieta la diagnosi pre impianto. Intervista a Assuntina Morresi, membro del Cnb
Secondo lei è stato un colpo di mano da parte di Livia Turco il fare queste modifiche l’11 aprile, quindi a ridosso delle elezioni politiche?
Assolutamente sì. È chiaro che a questo punto non aveva più niente di perdere: apportare le modifiche in tempi non sospetti avrebbe senza dubbio suscitato delle grosse polemiche durante il governo Prodi. Si tratta di un colpo di coda, un atto non so quanto legittimo, e certamente di dubbio gusto, per lasciare una patata bollente nelle mani del nuovo governo.
Si aspettava questa mossa da parte del ministro?
No. Confidavo in una maggiore correttezza.
In che direzione sono state cambiate le linee guida della legge 40?
Non sono cambiate, o meglio si è trattato di un’operazione molto più sottile: è stata eliminata, di fatto, l’analisi osservazionale, ma senza introdurre in maniera diretta la diagnosi pre impianto, che rimane vietata dalla legge. Il ministro Turco non ha fatto altro che riportare nelle linee guida la sentenza del Tar del Lazio (ottobre 2007, ndr) sentenza che ha annullato i commi delle precedenti linee guida, che limitavano la possibilità di indagine a quella di tipo osservazionale. Ciò che lei ha fatto è stato introdurre un elemento di ambiguità.
A quali rischi può portare questa ambiguità?
Al rischio che si apra un varco a criteri eugenetici. La legge 40 dice che ogni intervento sull’embrione può essere effettuato solamente a scopo terapeutico, è pensata per sostenere le coppie sterili ed aiutarle ad avere figli, non per selezionare i figli. La diagnosi pre impianto è invece un test genetico, che serve per selezionare, e non è in alcun modo terapeutica per gli embrioni. Serve solo per individuare degli embrioni con difetti genetici, quindi apre immediatamente al criterio di scartare i peggiori e prendere i migliori, vale a dire a un criterio eugenetico per definizione Tempi
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