JUNO, PICCOLA GRANDE MADRE

    Tratto da Panorama del 22 febbraio 2008

C’è un film che arriva a metà aprile in Italia, che ha sbancato il botteghino in America, che prenderà degli Oscar, che si intitola Juno e ruoterà nell’aria come un ciclone etico moderno.

È la storia di una ragazzina come tante, tradita dal sesso facile e rimasta incinta, che rifiuta di abortire perché nella clinica femminista sente «odore di anticamera del dentista».
La storia è semplice ed è raccontata in forma di commedia che fa piangere, il tipico stilema dei grandi capolavori hollywoodiani. Però è moderna, edifica ma senza moralismo, ha la potenza dell’intrattenimento sublimata in un tocco di magia, girata come in un presepe suburbano. Lei, Juno, è spiritosa, diretta, dolcissima e sprovvista della minima mielosità, ha un padre e una matrigna formidabili, che le danno una mano per la vita, la sua e quella del bambino che ha in seno, ma così, perché è meglio, non per spirito di missione educativa. Sceneggiatura e dialoghi, esilaranti e urticanti, sono di Diablo Cody, una scrittrice già ingaggiata da Steven Spielberg e dalla sua macchina intelligente di cinema e idee, quasi certamente vincitrice dell’Academy award, un tipetto un po’ grunge, ma molto chic, che alla Festa del cinema di Roma dice, alla Flaubert: «Juno sono io».

La chiave della storia è il «no, grazie» all’aborto. Deciso così, con la leggerezza di un passo esistenziale qualunque, ma dovuto a qualcosa di misterioso, una sorta di eleganza dello spirito, un tributo spontaneo all’amore e alla responsabilità. Però, ecco la sorpresa modernissima e anche antichissima, degna della vecchia ruota del convento ma nelle forme del XXI secolo, quel no è compatibile con il rifiuto della modernità.
Juno cerca e trova, scrutinando gli annunci sui giornali, una coppia in crisi che vuole adottare un bambino, e alla fine sarà solo la lei della coppia, una donna non priva di difetti, condizionata da una cultura del banale, a coccolare come una madonna dei suburbia la piccola creatura adottata, mentre il suo lui abbandona l’impresa per frivolezza e fragilità.
Epopea del femminile e del femminismo delle ragazze, questo film che incanta platee ridenti e piangenti, questa fantastica storia di famiglia allargata, ma imperniata sulla scelta per la vita, è anche un racconto delicato sulla forza delle donne e sulla ambiguità dei giovani maschi che alla fine sono loro a redimere e rallegrare con uno sprazzo di vero amore, come accade per molti aspetti della vita contemporanea.

I ragazzi sono costruiti per fare sport, per consumare immagini, per fidanzarsi e sfidanzarsi a caso, non sanno letteralmente che cosa nella loro esistenza superi la dimensione dell’ormonale, la piattezza dei desideri senza molta speranza. Le loro pulzelle fricchettone invece la sanno lunga, sono ciniche quanto basta per sembrare credibilmente un pezzo di realtà e di società. Hanno il sogno incorporato nella loro natura umana creaturale, danno vita al mondo, senza se e senza ma.
Juno parla del vero potere femminile, che è un’alleanza di natura e cultura anche inconsapevolmente vissuta, un’allegria di vivere che trionfa non appena si spegne, nella fila alla clinica dove le vecchie generazioni di donne avvilite dall’ideologia si grattano e si maltrattano, la coazione a odiarsi e a mutilarsi dell’altro.
Altri film, da quello del regista romeno che ha vinto a Cannes all’americano Molto incinta, hanno fatto riemergere quest’anno il fiume carsico del desiderio di buonumore e di verità che spezza le menzogne appiattite con cui conviviamo. Ma nella figura piccina e gigantesca di Juno, nel suo amore ritrovato, anche senza il figlio ma non senza che lui possa avere una madre che lo accudisca e vivere, c’è una morale senza moralismo che è il segno tipico della pedagogia celeste del cinema americano di tutti i tempi. E si piange. E si ride.  Da L’Arcitaliano Giuliano Ferrara

JUNO, PICCOLA GRANDE MADREultima modifica: 2008-02-26T12:26:04+01:00da ritina5
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