LA MORTE NON AVRA’ MAI L’ ULTIMA PAROLA

     e625594ba83f1efc68553a10404df78c.jpgMARINA CORRADI
L a notizia rilanciata sulle agenzie è scarna: Paola Breda, da Pieve di Solìgo in provincia di Treviso, 38 anni, è morta ieri di un cancro che le era stato diagnosticato diciannove mesi fa. Ma lei, incinta, prossima al sesto mese, aveva deciso di non fare la chemioterapia per non danneggiare il bambino. Il figlio è nato, sano. Si chiama Nicola, oggi ha 17 mesi. La donna lascia lui, un’altra figlia e il marito. È stata una scelta, libera, e tale, nel suo coraggio, che non ci sentiremmo di dire a un’altra, nelle stesse condizioni, di fare lo stesso.
Certo coraggio, non lo si può imporre a nessuno. Qualcuno ce l’ha.
Qualcuno, non sapendo di averlo, lo trova nei momenti estremi. La storia di Treviso è rara nelle cronache, ma non unica. Accade qualche volta che una donna incinta alla notizia di una malattia mortale scelga, fra sé e il figlio, la vita del figlio. È una scelta che oggi a molti appare incomprensibile. Addirittura provocatoria; e inopportuno il parlarne, quasi che in tempo di ‘diritto alla salute’ rinunciare a curarsi per una gravidanza fosse roba da integralisti, o da matti. In tempi in cui un esame dubbio basta a consigliare l’aborto, sfidare un cancro per un figlio appare un pericoloso estremismo. Ma proviamo a guardare a questa storia senza ideologia. C’è una donna che aspetta un bambino.
Ne ha già avuto una, dunque sa cos’è un figlio. Ne ha già anche perso uno in grembo, aggiunge fuggevolmente la cronaca, e dunque sa cos’è aspettare, chiamare per nome un bambino che poi non arriva. Con queste due memorie addosso, al sesto mese si sente dire: hai un cancro, curati o morirai. Deve essere stata una notte lunghissima. (Le notti, davanti a certe scelte, sono eterne).
Con il ricordo di quella figlia già avuta: bella, ridente. Con il lutto ancora tagliente dell’altro, che non era arrivato. E sentendosi addosso, ora riconoscibile, un nemico mortale. Quanto vantaggio aveva il cancro?
Certo, tre mesi persi gli avrebbero assicurato la vittoria. Ma, la memoria del parto, della bambina, dei suoi occhi infine decidono. Non può rinunciare a uno che avrà quegli occhi, a nessun costo. Farà solo le cure che non nuocciono a lui. Lui, quel figlio, la morte e la malattia non lo devono toccare. Lui, sua madre vuole metterlo in salvo. Il buio che la insegue, non lo prenderà. Fino al parto, che lunghi giorni in quel piccolo paese del Trevigiano. La vita che prosegue quieta con le parole di sempre, attorno: e lei, con la morte e la vita addosso, insieme. La vita che nel ventre già scalcia. La morte che si annuncia coi suoi sordi avvertimenti ( Temeva a tratti, la madre, che la morte potesse essere più veloce?).
Poi, è nato. «Tre chili!» le avranno detto sorridendole. L’avrà preso fra le braccia, in una tacita premurosa verifica: la morte, bambino, proprio non ti ha toccato. Poi, di corsa, alla sua guerra. Una estenuante guerra durata 17 mesi. Sperando di farcela ancora. Combattendo di più, per quegli occhi fiduciosi addosso. Poi, la nemica ha vinto. Terrea, è arrivata. E forse lei lo sapeva, dall’inizio, che così sarebbe andata. Ma aveva scelto. Il bambino, non sarebbe stato preso.
Morire così, senza che in molti, in questi tempi di anime arrese, capiscano. Morire non del tutto, lasciandosi indietro un figlio coi tuoi occhi, e il tuo sorriso. Da Avvenire

LA MORTE NON AVRA’ MAI L’ ULTIMA PAROLAultima modifica: 2008-04-09T14:17:21+02:00da ritina5
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