COSA STA ACCADENDO A ELUANA E A NOI?

 

primo piano

Il video dell’incontro di Lecco con Claudia Mazzuccato e Giancarlo Cesana

E’ stata una serata per capire. Ed è servita.

Felice Achilli, Presidente di Medicina e Persona, ha posto la questione: “Anche nel nostro mondo della medicina è necessario capire: renderci conto dei fatti e delle cose, implicarci. Se manca questa percezione, non abbiamo più la forza che serve a lavorare in un posto dove è fondamentale capire che la vita è positiva oltre ogni circostanza.” Chiaro, anche per noi che medici non siamo, ma sperimentiamo la malattia e la morte. E ne cerchiamo il senso.

“Eluana è in uno stato vegetativo persistente che non è coma”. Giancarlo Cesana introduce inquadrando il contesto clinico e chiarisce subito che “chi è in come è sempre assente, mentre Eluana ha il ritmo sonno veglia, apre e chiude gli occhi, fa smorfie, sorride”. Anche se la sua è una “veglia senza coscienza”: non interagisce.

E qui è giusto che la scienza ammetta almeno che “la definizione di coscienza è un grosso problema” e che non tutto è chiaro tra “risonanze magnetiche funzionali che mostrano, in alcuni pazienti, risposte cerebrali” e casi di “errori diagnostici”.

Che comunque, a chi sta come Eluana, “non c’è niente da staccare, perchè non c’è trattamento medico: li si fa morire di fame e di sete”.

Due temi nell’intervento della Giurista Claudia Mazzuccato.

Primo. “Ricevere assistenza per mangiare e bere è una cura medica?” È solo dimostrando questo che è possibile sospendere l’alimentazione a Eluana: così si tratterebbe di “rinuncia alle cure” e non di “assistenza al suicidio” o “omicidio di consenziente” (entrambi reato). Questa è stata la posizione – almeno discutibile – dei giudici.

Secondo. Le cure mediche dovrebbero essere rifiutate esplicitamente e Eluana non può farlo. I giudici si sono basati sulla “volontà presunta, ricavata dalla personalità e da episodi riferiti”. Questo è il punto più innovativo per la giurisprudenza, ma più critico; anche umanamente. “Mentre la morte è irreversibile e drastica, la presunzione è un criterio debole. Si può arrivare ad un epilogo irreversibile e drastico, a partire da una volontà che non si può che presumere?”

E poi: quale volontà e in che contesto di libertà? “Di non bere e mangiare, di non essere curata, di non vivere così? È strana volontà quella di morire a fronte della cura medica di essere alimentata. La volontà andrebbe provata dall’incidente probatorio, oltre ogni ragionevole dubbio sulla modalità”. Ma soprattutto, la volontà – proprio in virtù della libertà, che si dice tratto saliente di Eluana – non si sarebbe modificata al cambiare del contesto? “Una persona così libera, come avrebbe risposto a una sollecitazione come la sua malattia? Quale libertà avrebbe giocato?” Avrebbe rielaborato la volontà di morire? (quante volte ci attacchiamo alla vita in situazioni che in teoria non avremmo sopportato). “La morte forse uccide definitivamente la sua opportunità di libertà.”

Di nuovo Giancarlo Cesana, per “La” domanda.

Qual’è il senso della malattia?

Davvero è Eluana a non poter vivere così o siamo noi a non sostenere il “richiamo” di Eluana? Mentre cerchiamo di misurare la sua coscienza e il senso della sua vita, dobbiamo fissare dei criteri: ci costringiamo a chiederci quale è il nostro senso, la nostra possibilità ultima: “La ragione quando non accetta la categoria della possibilità diventa violenta. La morte fa veramente paura. E questa paura va allontanata. Va allontanata dagli occhi e va allontanata come esistenza fisica, come ricordo. Il problema che solleva la Englaro è questo, non è un altro.”

Valgono le uniche parole di Giulio Boscagli, fuori dal teatro “Non c’è proprio altro da dire”. Meglio rileggere e meditare l’intervento di Giancarlo:

Sia per quanto riguarda lo stato vegetativo persistente, sia per quanto riguarda tutta la procedura legale, sia per quanto riguarda la vita – il senso della vita – possiamo dire di essere empiricamente almeno incerti, cioè di essere in dubbio. Se vai a caccia e vedi muoversi qualcosa dentro un cespuglio e non sai se è un coniglio o un bambino, cosa fai? Spari? Don Giussani insegnava che la categoria più importante della ragione è la categoria della possibilità, cioè che la ragione non ostacoli ciò che è possibile. Se è impossibile a me, ma è possibile ad altri, non ostacoli la possibilità degli altri. La Englaro, c’è chi è disposto a prenderla… Perché se la ragione nega la possibilità, la categoria della ragione diventa una misura inevitabilmente violenta sull’altro.

Poi c’è una seconda questione che ha a che fare appunto con questa categoria della possibilità, che bisogna capire, per comprendere come si è sviluppata la medicina come oggi la conosciamo: Qual’è il senso della malattia? Di fronte a un caso come quello della Englaro – l’ha detto il Dott. Achilli quando ha cominciato – uno si domanda qual è il senso di questa cosa che è successa. Domandarsi il senso di quello che succede non vuol dire spiegare tutto, ma domandarsi che cosa c’entra con me, che cosa c’entro io con questa persona. Perché il senso delle cose è il rapporto che c’è tra di loro. Che le cose abbiano un senso non vuol dire che le cose sono messe a caso e quindi sono una indipendenti una dall’altra, ma che sono ordinate, che sono in rapporto. E domandarsi il senso di quello che succede, il senso di questo fatto, è domandarsi cosa centro io con questa qui? Con questa persona, con questo problema: cosa mi dice.
Che poi è la domanda che si è posto l’Achilli sin dall’inizio. Uno che fa il medico, uno che fa l’infermiere, deve dirsi che cosa c’entra lui con chi ha davanti. Perché deve fare questo sforzo per intervenire per curarlo?

Già Shakespeare diceva:la vita è una lunga agonia; l’uomo è una specie mortale; alla fine muoiono tutti. Si aggiusta ciò che inevitabilmente si guasta.
La medicina è nata non per la capacità di curare, ma esattamente per il contrario. Cioè è nata innanzitutto come assistenza. La medicina occidentale, come la conosciamo noi da Ippocrate in avanti, era un’arte che era incapace di curare la gente. Tant’è vero che nell’epoca classica, prima del cristianesimo, gli ammalati venivano allontanati, mandati via, perché tra l’altro, se infettivi, erano pericolosi. Chi ha un po’ di dimestichezza con il Vangelo e la Bibbia, sa che i lebbrosi erano fuori dalla città. Col Cristianesimo sono incominciati a nascere gli ospedali, cioè gli ammalati sono cominciati ad essere assistiti.
Questo perché si sapeva curarli? No! A Napoli c’è l’ospedale degli incurabili: veniva ospitata la gente che era incurabile. Erano incurabili nei primi secoli dopo Cristo esattamente come erano incurabili prima. Però si sono messi a curarli perché la malattia non è più stata vista come un ostacolo insormontabile alla vita. Perché il cristo era risorto. Perché l’ultima parola sulla vita non è la morte. E’ quello che ha fatto nascere gli ospedali, quello cha ha fatto nascere la medicina occidentale, che ha spinto gli infermieri a curare la gente che era pericolosa rischiando di morire (infatti gli infermieri erano i monaci, la gente religiosa, persone che dedicavano la vita all’assistenza agli ammalati).

Si è cominciato a comprendere la malattia non come qualcosa che nega, ma qualcosa che imprevedibilmente afferma. Che è il problema per cui si fa… Ma la pietà da dove viene? Aver pietà di uno chè è fragile, che cosa vuol dire? Vuol dire riconoscere dentro questa fragilità un positivo. Quando ci stupiamo del cinismo che troviamo sui giornali per la malasanità, a riguardo della vita e del trattamento degli ammalati, da dove viene questo cinismo? Dal fatto che se la vita comincia a declinare, di senso non ce n’è più. Che la vita non c’entra più niente con me. E quindi non solo la si lascia andare, ma si può pensare attivamente di eliminarla.
Perché la ragion,e quando non accetta la categoria della possibilità, diventa violenta. La morte fa veramente paura. E questa paura va allontanata. Va allontanata dagli occhi e va allontanata come esistenza fisica, come ricordo. Il problema che solleva la Englaro è questo, non è un altro. E lo solleva per i medici e anche per i non medici.

Prima la dottoressa sottolineava il diritto alla salute. Il diritto alla salute non esiste. Io sono zoppo e posso pretendere tutti i diritti alla salute, ma resto zoppo. Quando hai il cancro il diritto alla salute non ce l’hai. Quando sai che devi morire il diritto alla salute è andato. E curarti vuol dire guardarti in un modo tale che sia più forte anche della impossibilità che ho di guarirti. Se no cosa ce ne facciamo degli ospedali. Che medicina è? E’ un meccanismo non è più una medicina.
“Per me conti solo se la mia azione su di te può essere efficace”. Mentre c’è un livello – il più frequente nella medicina – in cui l’azione del medico non è efficace. Certo ti fa resistere ti sostiene eccetera. E anche questo ha un senso.
Questo è il problema: che cosa è questo senso? Che cosa ci dice? Il senso che ha la malattia è proprio in questo.

Perché la ragione si spaventa così tanto? Perché cede e non regge questa categoria della possibilità? Non regge la possibilità? Perché non comprende – non comprende più, allontanandosi dalla cultura positiva della vita, da un sentimento positivo della vita – che il mistero non è un’astrazione, un fantasma: è concretamente presente. La mia vita e un mistero perché non me la sono data io. Ultimamente non so di cosa è fatta. C’è una corrente di pensiero che si chiama neocalvinismo, che dice che qualunque valutazione possiamo dare della libertà in fondo è già tutto determinato dalle reazioni chimiche che avvengono nelle cellule. Esattamente come Calvino pensava che il destino dell’uomo fosse determinato indipendentemente da quello che lui facesse. E l’idea è quella: infatti la libertà non c’è più.

Perché la ragione si chiude? Perché quello che è la vita, non è più percepita come una presenza positiva.
Le suore che assistono la Englaro dimostrano una speranza contro ogni speranza. Di fronte alla disperazione con cui si può guardare questa donna, queste continuano a sperare: le vogliono bene. Affermano che lei per loro vale. Questa è la presenza positiva! Vale con i figli che abbiamo, vale coi poveri, gli ammalati; vale con tutto. Questo è il cristianesimo, senza del quale non c’è più comprensione di tutto.

Ricordate l’episodio del cieco nato? Una delle idee che c’erano della malattia nell’antichità è che fosse una maledizione. Che qualcuno fosse colpevole della malattia, tant’è vero che si andava dai preti a togliere il malocchio. Quando Gesu’ incontra il cieco nato gli chiedono chi abbia peccato – lui o i suoi genitori – per essere così. Gesù risponde con la prima affermazione chiara, che la malattia non deriva da un fatto di colpevolezza: non c’è peccato. Lui è cieco nato “perché si dimostrasse la gloria di Dio, perché si vedesse che io sono capace di guarirlo”.

Il senso della malattia è la vittoria sulla morte. La malattia ci fa vedere che siamo fragili, siamo destinati alla morte, dobbiamo passar attraverso la morte. Ma la morte non è tutto. Questo è il senso della malattia.
Ma appunto senza Cristo è molto difficile affermare questo senso, anzi non si può. E infatti il venir meno di questo fa decadere il rispetto e l’amore per la vita.
Non ci sono santi: La si giri come si vuol,e ma la questione è questa!

Per amare la vita, anche nel momento di maggiore fragilità, quando tutto sembra sia finito, bisogna avere quella “spe contra spem” di cui parlava san paolo, quella “speranza contro ogni speranza”. Se non si fosse fatto così, il progresso della medicina non ci sarebbe stato. Se non ci si fosse messi a curare gli ammalati a rischio della vita, con la speranza comunque che si potesse vincere – un senso di vittoria ultimo sulle cose, un senso positivo della storia e del mondo – se non ci fosse stato questo, la medicina non ci sarebbe. Perché la medicina è nata così: curando quelli che non si potevano curare e a poco a poco ha imparato.

Da questo punto di vista, quando si dice che gli ammalati partecipano alla sofferenza di Cristo si dice proprio questo: con la loro condizione gli ammalati ci richiamano a cercare di capire cosa siamo al mondo a fare.
Che la Englaro sia viva così dopo 16 anni, significa che sono 16 anni che sta richiamando questa cosa. E non c’è solo lei, ce ne sono molti altri.
Perché far finire questo richiamo?

COSA STA ACCADENDO A ELUANA E A NOI?ultima modifica: 2008-07-16T22:55:05+02:00da ritina5
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4 pensieri su “COSA STA ACCADENDO A ELUANA E A NOI?

  1. Tra un po’ di tempo questa storia non la ricorderemo quasi più, e ce ne saranno altre che metteranno in moto il “bla bla bla”, il punto è proprio quello che viene fuori da ciò che dice Cesana; “Da questo punto di vista, quando si dice che gli ammalati partecipano alla sofferenza di Cristo si dice proprio questo: con la loro condizione gli ammalati ci richiamano a cercare di capire cosa siamo al mondo a fare.
    Che la Englaro sia viva così dopo 16 anni, significa che sono 16 anni che sta richiamando questa cosa. E non c’è solo lei, ce ne sono molti altri.
    Perché far finire questo richiamo?” Bisogna ritrovare il Senso della nostra vita, del nostro esserci. Bisogna invocarlo come dei mendicanti!

  2. Quella di Eluana non è eutanasia. Se il problema è identificare al di là di ogni ragionevole dubbio la volontà di una persona, e se quella di Eluana non è chiara, d’accordo. Ma allora perché opporsi al testamento biologico? Può anche darsi che sia vero che certe decisioni siano dettate dall’incapacità di affrontare la morte. E allora? Non vorremo mica imporre per legge di essere tutti eroici, o di credere tutti che “staccare la spina” sia peccato mortale! Possiamo stigmatizzare quanto vogliamo la debolezza della famiglia Englaro (ma è facile parlare quando a soffrire ci sono gli altri), però di fronte alla libera volontà di una decisione presa in piena coscienza bisogna avere l’umiltà di fermarsi. Ci sono mille sfumature di carattere tecnico, medico, giuridico e filosofico, ma alla fine biosgna venire al redde rationem: la decisione di “staccare la spina”, per quanto terribile, è legittima o no?
    Non si può pretendere di affrontare il tema in maniera ragionevole/razionale utilizzando gli argomenti della fede. Due punti mi sembrano incontrovertibili: chi rifiuta di essere tenuto in vita artificialmente 1) non fa del male a nessuno (non è un dettaglio questo, visto che si configurano reati); 2) non fa nulla “contronatura” (anzi, contronatura è restare per anni attaccati a una macchina – su questo punto non vedo mai riflessioni approfondita da perte dei cattolici, che però utilizzano spesso il concetto di contronatura, specie in materia di comportamento sessuale. Il che mi pare una bella contraddizione).

    Di sicuro bisogna stare più vicini a chi soffre, aiutando i malati e i loro cari a sopportare il dolore, cercando di evitare il ricorso troppo facile a soluzioni troppo drastiche. Ma non si può impedirlo per legge, e tantomeno si può farlo in nome della sofferenza di Cristo.
    La libertà personale è un abisso vertiginoso sulla soglia del quale bisogna arrestarsi, anche se produce scelte che non condividiamo o che ci sembrano terribili.

  3. Caro Guido, hai ragione sul fatto che quello che vogliono attuare su Eluana non è eutanasia; è peggio. Lasciar morire per mancanza di acqua e cibo un essere umano è meno “caritatevole” di una iniezione letale. In questo particolare e penoso caso non c’è nessuna “spina” da staccare, perchè questa donna non vive attaccata a un respiratore; ha solo un sondino per l’alimentazione. Ti invito a leggere quello che dicono vari medici neurologi e geriatri, e anche magistrati. Vedi, nessuno sa bene come si “sta” nel cosiddetto stato vegetativo (bruttissima parola), ne i medici, ne i magistrati, ne i preti, ne i filosofi; dovremmo ascoltare chi ci è stato e ci racconta la sua esperienza, terribile, perchè si sente, si vede, si provano emozioni, ma non si riesce a comunicare. Se vogliamo far funzionare la ragione, dovremmo almeno ammettere che c’è questa possibilità. Che si sia incoscienti è solo un’ipotesi e non una certezza; solo chi è arrogante e presuntuoso, credendosi padrone di far vivere o morire, puo’ mandare il cervello all’ammasso negando altre ipotesi. Con tutto il rispetto e la comprenzione per il padre e la madre di Eluana, ma nemmeno loro hanno il diritto di decidere per la morte. Che ne sai che non viva anche io una situazione simile? La realtà non è il web!
    Non vogliamo imporre niente a nessuno, tanto meno Cristo, che tentiamo di seguire per attrazione e non per imposizione; ma se uno è certo del valore della vita deve dirlo con tutte le forze. Era meglio non rianimare questa- come altri- ragazza? Allora bisognerebbe rivedere tutte le tecniche di rianimazione e allestire meno sale di rianimazione, visto gli esiti non sempre brillanti. Il testamento biologico non credo risolva il problema; dobbiamo solo sperare che, a Dio non piacendo, ci venisse un insulto improvviso, abbiamo almeno il tempo per dire non “Madonna aiutami” ma “Non mi rianimate”! Questa è una questione molto profonda e grave, e bisogna affrontarla tenendo conto di tutte le sfaccettature. Ti saluto e ti ringrazio

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