LA RESISTENZA DEL GIORNO PIU’ LUNGO

Corri verso Milano, insieme alle altre auto. Corriamo, ma quel gran sole sembra fermo lì in fondo; ora, e siamo a Parma e sono le nove passate, è al centro del nastro grigio; proprio diritto laggiù, ci aspetta, come un destino

di Marina Corradi

Ventuno giugno, le otto e mezza di sera sull’Autosole verso Modena, direzione nord. Nella giornata più lunga dell’anno il sole, a quest’ora, è ancora alto sulla pianura. Si direbbe che pesi, che si possa toccare, la sua luce di oro rossastro, sulla immensità piatta dei campi emiliani. Si direbbe che bruci con l’ultimo raggio, come un amante non ancora appagato, il grano, e spacchi più profondamente le crepe nere della terra. E ti sfilano accanto distese di raccolti trionfanti, e cascine larghe, sdraiate sulla grande pianura. Covoni tondi, a grappoli, se ne stanno immobili sotto il volo petulante di uccelli neri. Nuvole irrequiete, foriere di improvvisi piovaschi, all’orizzonte. Ma su tutto il largo nastro d’asfalto e quella luce ardente, che a ogni minuto si abbassa, ma non vuole morire.
Ore ventuno e tre, quattordici chilometri a sud di Reggio Emilia. Il sole è un globo rosso, come di metallo incandescente, esattamente sulla linea dell’orizzonte. Di quel suo fuoco infiamma ogni cosa in un riverbero come un ultimo abbraccio. Che straordinaria luce, l’ultimo raggio del solstizio d’estate. Ti immagini nelle cascine il profumo dolce del fieno, nelle botti delle cantine il lambrusco che fermenta; e davanti alle case i vecchi immobili, le facce spaccate da settant’anni di campi, zitti, lo sguardo fisso su quel sole che muore.
Ma corri, corri verso Milano, insieme alle altre auto, anche più veloci, che ti superano e scompaiono con le loro luci posteriori rosse, frettolose, lontano. Corriamo, ma quel gran sole sembra fermo lì in fondo; ora, e siamo a Parma e sono le nove passate da molto, proprio al centro del nastro grigio; proprio diritto laggiù, ci aspetta, come un destino.
E passano i minuti e attendi che scenda il buio. Ma, poiché l’autostrada inclina verso nord-ovest, stai inseguendo la luce; e il disco rosso pare indefinitamente fermo sull’orlo dell’orizzonte, come un uomo davanti a un abisso, che esiti a tuffarsi. E ancora hai addosso, e sono quasi le dieci, quel riverbero d’incendio; e ti commuovi, e ti affezioni a questo sole del giorno più lungo dell’anno, che non vuole finire.
Le ombre ora si allungano, deformi, e paiono anime in pena. Ed ecco il sole si è finalmente buttato, è scomparso, ma che luce immensa, quasi più chiara di prima, sta sospesa in questo cielo ormai lombardo.
È luce rosa ora, come di una passione sfinita e struggente. Il sole del solstizio è andato, è disceso nei suoi inferi quotidiani. Il buio però non vince. A est è notte, ma a ovest la luce si ostina, cala, eppure si allarga in un tenace chiarore.
Lampeggia la barriera di Milano, risali per gli svincoli della tangenziale e – verso ovest – luce ancora: trattiene le tenebre che vengono avanti, come la retroguardia di un esercito ostinato.
Milano infine, ed è notte sulle strade. Il sole più lungo si è arreso. Da domani impercettibilmente i giorni cominciano a farsi più brevi. Ma da che parte, ti chiedi, si alzerà il sole domattina? Scruti fra le fila dei palazzi, disabituata a orientarti fra il cemento. Laggiù, dovrebbe essere. Domattina all’alba, da quella parte, ti dici: come aspettando il ritorno di chi è caro.
Grazie a Tempi

LA RESISTENZA DEL GIORNO PIU’ LUNGOultima modifica: 2009-06-29T13:10:23+02:00da ritina5
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