Perché padre Brown ha scelto di fare il detective

Nelle indagini del prete nato dalla penna di Chesterton il confronto con misteri non solo polizieschi

È appena uscito in libreria Figure spirituali. Volti e voci dell’esperienza religiosa nella creazione letteraria (Padova, Edizioni Messaggero, pagine 111, euro 9). Ne pubblichiamo un capitolo.

di Lucio Coco

figure spirituali.jpgUna delle fatiche più grandi per un prete o per un religioso è quando, fuori dalla chiesa o dalle mura della casa che lo ospita, deve dar conto dell’esistenza di Dio. Dov’è il tuo Dio gli possono chiedere in ogni momento. Una domanda a bruciapelo, contro la quale c’è poco da rispondere. Essa è simile a quella della crocifissione:  “Se sei Dio, salva te stesso” (Matteo, 27, 40). Una prova, dimostrami che la tua vita non è fondata sul nulla. L’obiezione muove da una constatazione evidente. Noi non possiamo dire Dio, come si indica una matita.
Tutto parla di Dio, ma niente lo rivela come qualcosa che si può percepire con i sensi. Un prete dovrebbe forse tentare di rispondere così agli attacchi che gli vengono mossi e che anche per lui questo contenuto è lo stesso su cui si interrogano tutti. Anche per il prete esso non è mai una proprietà sicura. Come ci insegna l’esperienza di tutti i giorni, Dio è davvero un possesso difficile ma sicuramente l’unico per il quale vale la pena spendere la vita. E il tesoro che deve essere sempre scoperto, il campo che deve essere sempre venduto per poter correre a comprare quello che nasconde la pietra preziosa (Matteo, 13, 44), la verità che deve essere sempre trovata.
Forse per questo, padre Brown, il protagonista degli omonimi racconti di Gilbert Keith Chesterton, ha scelto di fare il detective. Il lettore infatti presto si accorge che il caso e la sua soluzione sono solo un pretesto per altre riflessioni. Egli lascia sempre che si affacci dentro le sue indagini un mistero maggiore di quello che l’enigma poliziesco gli propone al momento. Molto spesso è nel presagio dei cieli che egli costantemente scruta nelle sue storie:  “Dal luminoso e profondo verde del cielo traspariva qualche stella”; “I lauri (…) si  stagliavano  contro  il  cielo  di  zaffiro e la luna argentea mostrava i vivi colori del sud persino in quella notte”; “Il color viola vivo del cielo e l’oro pallido della luna si attenuavano sempre  più,  svanivano  in  quel  vasto cosmo impallidito che precede i colori dell’alba”.
È attraverso questo sguardo sull’infinito che anche le nature più razionali e logiche possono intuire qualcosa che va al di là delle loro competenze scientifiche e settoriali. Così accade, per esempio, al più famoso ispettore di polizia di Parigi, il commissario Aristide Valentin, il quale in un passaggio scarsamente significativo per le indagini, quando incrocia il suo sguardo con “la luce tagliente che lottava con gli ultimi brani della nuvolaglia, avanzo di una tempesta”, si ferma a fissarla con una attenzione insolita per un carattere formato scientificamente come il suo, “ma forse – aggiunge Chesterton – tali nature scientifiche hanno un qualche psicologico sentore del più tremendo problema della vita”.
Altre volte questo mistero forma una trama indecifrabile. Come dare, per esempio, una risposta alla questione del male nel mondo e del destino ingiusto che rende tristi le vite dei buoni e fa prosperare quelle dei malvagi? Sono le domande che ogni prete deve sempre fronteggiare:  oltre all’esistenza di Dio, il perché del male e dell’ingiustizia; a lui più che ad altri se ne chiede il motivo. La sapienza di padre Brown, il piccolo prete di un villaggio dell’Essex, vuole indicarci una via e ci invita a leggere in questi fatti come nel rovescio di un arazzo:  “Le cose che qui accadono sembra che non abbiano alcun significato; parlo di ciò che avverrà in un altro luogo. In qualche luogo il vero colpevole sarà punito. Qui, il danno sembra colpire una persona invece dell’altra”.
Il richiamo al mistero e alla sua decifrazione ha anche straordinari effetti pratici perché aiuta a risolvere molti casi complicati e difficili:  “La mente moderna confonde sempre tra loro due idee diverse:  mistero nel senso di ciò che è meraviglioso, mistero nel senso di ciò che è complesso”. Il complesso in questo caso non è altro che la ripetizione ossessiva di schemi razionali; esso costruisce labirinti da cui è impossibile uscire, è un sinonimo di complicato.
La ragione, intesa in questo modo, genera gabbie nelle quali anche l’investigatore più abile rischia di restare imprigionato. Padre Brown invece cerca il sorprendente che riorganizza tutto attorno alla semplicità di un nuovo punto di vista e realizza ogni volta il miracolo della soluzione (“Un miracolo è sorprendente ma è semplice”). La logica apparente del reale è costantemente visitata e messa in crisi da un’altra logica che il prete latino riesce a scorgere sotto la traccia spesso fuorviante del visibile.
Padre Brown gioca continuamente con questo rovesciamento:  “La sua testa acquistava il massimo del suo valore allorché la perdeva”. Egli deve fare continuamente i conti con la non-ragione per potere esplorare il mistero che altrimenti rimarrebbe per sempre precluso al detective, insieme con la possibilità di risolvere il caso. Il nuovo ordine che segue alla scoperta contiene dentro di sé questo elemento rovescia-to, che non era stato considerato fino a quel momento e che con il suo apparire ha il potere di far vacillare e sconvolgere la realtà solita, la quale nell’esperienza di alcuni suoi personaggi risulta così trasformata in “un universo pazzo che turbina attorno ai loro orecchi”, oppure ad altri può dare l’impressione “di assistere al crollo di ogni ragionevolezza, come se l’universo diventasse tutta una pagliacciata”.
Eppure non c’è niente di irrazionale in questo ribaltamento. Niente di casuale perché tutto si riorganizza attorno alla verità come dimostra la soluzione di ogni caso. Negli infiniti mondi possibili che lasciano immaginare i cieli che padre Brown interroga la sera, non c’è niente di irragionevole:  “La ragione – egli ci dice – è sempre ragionevole, anche nell’ultimo limbo, anche al limite ultimo delle cose”. Dio stesso non può sfuggire a questa logica.
Credere, per padre Brown, non significa svalutare la ragione, mettendole vicino qualcosa che la impedisce e la ostacola. Credere significa affermare questa fede nella ragione creatrice che ha fatto il mondo con un progetto intélligente; è scoprire “che Dio stesso è legato alla ragione”:  attaccare la ragione equivale sempre “a fare cattiva teologia”. Tutta l’arte poliziesca di padre Brown consiste proprio in questo, nello svelare le contraddizioni dell’impossibile e nell’affermare la ragione come unica possibilità dell’essere.
“La gloria del cielo s’addensava e diveniva sempre più profonda”. Il cielo che Chesterton descrive comprende sicuramente infiniti mondi, ma questa infinità è un fatto puramente fisico, essa non può ammettere in nessun punto dell’universo la contraddizione e il caos, tanto che, a chi gli obietta che il mistero del cielo è impenetrabile e che “altri mondi possono elevarsi più in alto della nostra ragione”, il prete cattolico può rispondere con una reductio ad Unum simile nei modi a quella che gli permette ogni volta di chiudere anche i casi più difficili, che l’universo è “soltanto fisicamente infinito, non infinito nel senso che sfugge alle leggi della verità”. La ragione e la giustizia comprendono anche le stelle più lontane e solitarie, questo ci insegna la metafisica di padre Brown, e dovunque, nel prossimo come nel lontanissimo, si deve ripetere sempre il miracolo della verità di Dio.


L’Osservatore Romano )

Perché padre Brown ha scelto di fare il detectiveultima modifica: 2010-07-19T14:48:53+02:00da ritina5
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4 pensieri su “Perché padre Brown ha scelto di fare il detective

  1. Tempo fa Stephen Hawking voleva poter conoscere la Mente di Dio. Per questo io gli dedicai il mio libro: “Il Tachione il dito di Dio”. Ora ha cambiato idea e dice che Dio non esiste. Il CERN a sua volta ripropone l’eterna esistenza della materia. Io rispondo così:
    COMMENTO ALL’ULTIMO ESPERIMENTO DEL CERN DI GINEVRA.
    Ciò che è stato osservato al CERN di Ginevra ,consiste di un plasma di teorema geometrici e matematici, espressi in numeri cardinali .
    Questi a loro volta sono costituiti da un gas di numeri ordinali, (la polvere di Cantor ” diviene “ frattali).
    A proposito DUNQUE ,della presunta autosufficienza della materia ,affermata dopo gli ultimi esperimenti del CERN di GINEVRA.
    Siamo semplicemente alle solite tesi ideologiche .
    Non si tiene conto che l’energia applicata nell’esperimento del CERN è già esistente nell’universo . Quindi la materia non è affatto autosufficiente. Rimane vero semplicemente che nulla si crea e nulla si distrugge .
    Rimane insoluto infatti ,quali sono le ragioni dell’esistenza dell’energia ? Perché c’è l’energia invece che il nulla ?
    Per approfondire segnalo il sito: il Tachione il dito di Dio.
    Nel sito http://www.webalice.it/iltachione si può leggere gratuitamente in rete la teoria unificata dell’universo fisico e mentale, secondo il pensiero sineterico.
    La tesi fondamentale della teoria afferma che la gravità non è una qualità della materia ma una reazione astratta all’estensione angolare .
    Pertanto le successive dimensioni spaziali “estendendosi” a partire dal punto mentale,alla retta ,al piano e ai volumi, determinano REAZIONE ANGOLARE GRAVITALE ,all’ipotesi immaginaria di estensione LAMBDA, nello spazio tempo.
    Dunque le ragioni invisibili delle apparenze fisiche ,sono astrazioni di teorema matematici.
    Le apparenze fisiche visibili ai sensi sono simulazioni delle idee della teoria.
    In pratica non ci sono fenomeni fisici ma solo rappresentazioni mentali dell’osservatore

  2. Caro sig. Russo, ho letto con piacere i link che mi ha consigliato; mi sorge un quesito che vorrei sottoporLe; non essendoci fenomeni fisici ma solo rappresentazioni mentali, il mio terribile mal di denti quale situazione mentale rappresenta? Grazie!

  3. Ritina 5 spero che la tua domanda sul mal di denti sia posta seriamente. Comunque sappi che anche se tu l’avessi posta scherzando è di un valore scientifico enorme. Infatti una domanda intelligente apre sempre alle scoperte scientifiche nuove. Mi spiego.
    Il mal di denti rappresenta la sofferenza dell’anima ,attraverso la versione simulata dei sensi. Questo non significa che i fenomeni fisici non hanno senso logico,ovvero che non esistono affatto. I fenomeni fisici esistono come fatti mentali ,rappresentati come fatti fisici . Sono però rappresentazioni immaginarie, molto credibili perchè realizzate con teorema matematici molto superiori a quelli dei computer e della realtà virtuale prodotta dall’uomo.
    Il tempo-spazio è costruito con quattro dimensioni spaziali e con programmi molto sofisticati di leggi nucleari, atomiche ,chimiche e meccaniche, tali da rendersi credibili come fatti fisici. Quindi esistono come tali. Ovvero esistono come ipotesi mentali immaginarie. Sono quindi reali come pensieri di ipotesi materiali ,molto verosimili e credibili. In effetti se l’energia rimanesse sempre nella forma di bosoni ossia particelle di luce e non si travestisse come fermioni ovvero come particelle di luce condensata localmente in elettroni e protoni. Tutto sarebbe trasparente e la mente vedrebbe qualcosa di più simile a se stessa ,così come realmente è la conoscenza dei giudizi intellegibili.
    Ovvero pensiero puro.
    SALUTI AFFETTUOSI e vai dal dentista dopo avermi letto.
    Ciao da Vincenzo.

  4. La domanda era un po’ per celia un po’ per davvero… Caro Vincenzo, non ho capito bene la tua teoria, ma mi pare che (per quello che ho capito) la nostra materialità, la nostra fisicità sia solo una proiezione della nostra mente. Ma se il mal di denti puo’ essere un male dell’anima, cosa puo’ rappresentare la frattura di un arto, capitato all’improvviso e quando meno te lo aspetti? Puro pensiero, dici… A parte che a me “me piace” la mia materialità, ti chiedo: di fronte a un buon piatto di pastasciutta, cucinata come Dio comanda, tu pensi a una proiezione di un desiderio o ti ci ficchi fino alla bazza? Ciao, sei intrigante con le tue ipotesi!

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