Il destino dei cristiani

gerusalemmeR400.jpgdi Roberto Fontolan


Attorno e dentro il Sinodo dei vescovi dedicato al Medio Oriente, avviato alle battute conclusive, sono abbondate le analisi di una situazione molto difficile e complessa. Chi ha messo in luce l’indifferenza della cosiddetta “comunità internazionale”, un soggetto che non si sa mai che faccia e che corpo abbia ma che viene chiamato in causa per indicare responsabilità e colpe esterne; chi ha tematizzato la madre di tutti i conflitti, l’israelo-palestinese, come fonte copiosa di guai e di ingiustizie; chi ha esaminato la questione della libertà religiosa e della libertà di coscienza, ambedue poco o nulla garantite nei diversi Paesi dell’area; chi ha voluto soffermarsi sulla spettacolare realtà di opere caritatevoli ed educative che mostrano l’amore eccezionale e poco ricambiato che i cristiani portano alla loro patria bimillenaria.

E poi naturalmente gli argomenti più specifici, dalla liturgia alla catechesi ai rapporti tra le Chiese orientali, i latini e quell’incredibile realtà di “Chiesa pellegrina” nei Paesi del Golfo raccontata dal vicario apostolico dell’Arabia, Paul Hinder, nell’ultimo numero della rivista “Tracce” –rapporti non sempre facili e anzi, talvolta indeboliti da ossessioni particolaristiche e identitarie. Tutte cose vere e sacrosante, nessuno potrebbe contestarle.

Ma il fatto è che se anche le sommiamo tutte insieme il quadro che ne risulta resta irrimediabilmente parziale. Come è stato detto da qualcuno “in Medio Oriente partiamo sempre dalla situazione e non dalla vocazione”. Ed è emersa più chiara in queste giornate sinodali la consapevolezza che quando si parte dalla situazione manca sempre qualcosa, per completare l’analisi occorre aggiungere sempre nuovi elementi, come se la vita reale non bastasse ad agire e a giudicare. Continua Quì

Il destino dei cristianiultima modifica: 2010-10-23T11:38:29+02:00da ritina5
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