PERSECUZIONE IN ATTO; PENSIAMOCI!

Morto il vescovo di Mosul

Vogliono cacciare e derubare i cristiani irakeni». Le ultime parole di Monsignor Rahho raccolte da Tempi. Ecco alcuni estratti dell’intervista rilasciata al nostro inviato.

di Rodolfo Casadei

Ho intervistato monsignor Paulos Faraj Rahho, arcivescovo caldeo di Mosul, il 9 gennaio scorso a Batnaya, una cittadina cristiana della piana di Ninive dove quel giorno veniva inaugurata una strada asfaltata che avrebbe collegato al corpo centrale dell’abitato un quartiere periferico costruito per i profughi cristiani in arrivo da Mosul e da Baghdad, entrambi finanziati con fondi del governo autonomo del Kurdistan. Naturalmente nessuno poteva immaginare che quella sarebbe stata la sua ultima intervista a un giornalista straniero prima del rapimento del 29 febbraio, terminato con la sua morte. Ma che la sua sicurezza fosse costantemente in pericolo era nozione comune. Nei quasi cinque anni dopo la caduta del regime baathista il vescovo aveva ricevuto ben undici lettere di minacce di morte.
Nel marzo dell’anno scorso era sfuggito a un tentativo di rapimento. «Era la festa dell’Annunciazione e stavo andando alla chiesa di San Giorgio, credo di sapere con certezza chi mi ha salvato», mi aveva detto con ironia. «Dalla mia città non me ne vado, ho dei protettori che stanno molto in alto». Mosul (l’antica Ninive della Bibbia) è stata un bersaglio della persecuzione anti-cristiana sin dall’inizio della crisi: quando, il 1° agosto 2004, sono esplose le prime bombe contro chiese e istituzioni della Chiesa in Iraq, quattro di queste hanno colpito Baghdad, la quinta la chiesa della parrocchia dello Spirito Santo a Mosul. Dopo di allora le parrocchie, i vescovadi, i conventi e il personale apostolico della città sono sempre rimasti sotto tiro, con attentati a ripetizione. La capitale ha conosciuto il più alto numero di sacerdoti rapiti, ma a Mosul è finito nelle mani dei sequestratori anche un vescovo (il siro cattolico monsignor Basile Georges Casmoussa, poi liberato), e di Mosul erano i due sacerdoti cristiani e il pastore protestante uccisi dalla guerriglia: oltre a padre Ragheed Ghanni, parroco della parrocchia dello Spirito Santo trucidato insieme a tre suddiaconi il 3 giugno dello scorso anno, il siro ortodosso Paulos Iskandar, assassinato nell’ottobre 2006, e il sessantanovenne Monther Saqa, pastore della presbiteriana National Protestant Evangelical Church di Mosul, anche lui rapito e subito ucciso nel dicembre 2006. Con questi precedenti, ci si poteva aspettare di incontrare una persona turbata e depressa, oppure un sacerdote misticamente rassegnato al sacrificio, il santo che va incontro al martirio col sorriso di chi pregusta il premio eterno. Monsignor Rahho non era né l’uno, né l’altro. Era un vecchietto dai modi decisi sicuro di sé fino alla spavalderia, sempre pronto a sfidare tutto e tutti con le critiche più pesanti: governo, militari americani, guerriglieri della “resistenza”, combattenti islamisti. Dimostrava un po’ più dei suoi 67 anni a causa di problemi cardiaci e i suoi occhi grigi e sottili sembravano fatti apposta per esprimere stizza e indignazione. Poi la voce si faceva dolcemente ironica, la rabbia sbolliva e le parole dicevano una fiducia fino alla rassegnazione nella volontà di Dio.

La predica contro i “resistenti”
Un passaggio dell’intervista mi sorprese: gli avevo chiesto che idea si era fatto dei persecutori della Chiesa in Mosul, di quelli che appena tre giorni prima avevano fatto esplodere tre autobomba contro una chiesa, un monastero e un orfanotrofio e di quelli che avevano compiuto rapimenti e uccisioni, se si trattasse di stranieri o di iracheni, di “resistenti” o di terroristi. Lui rispose in tono alterato, spostando il discorso sugli americani, dicendo che a portare il terrorismo in Iraq erano stati loro: avevano fatto del suo paese un campo di battaglia per non dover combattere i terroristi sul suolo americano. Mi fu poi confidato che la sua prima reazione pubblica agli attentati dell’Epifania era spiaciuta ad alcuni. «Vi fate chiamare “resistenti”, ma anziché gli americani attaccate altri iracheni», avrebbe detto secondo alcuni in una specie di appello rivolto ai responsabili degli attacchi. Un’altra confidenza che ho raccolto è ancora più inquietante. Mi fu detto che il vescovo conosceva l’identità del gruppo che aveva organizzato l’omicidio di padre Ghanni e dei tre cristiani che erano con lui, sapeva che erano iracheni e non stranieri, ma non condivideva con nessuno quello che pareva sapesse.

Cosa disse monsignor Rahho durante l’intervista?
«La nostra persecuzione è cominciata dopo l’occupazione anglo-americana ed è stata un crescendo in tre atti», iniziò. «Prima sono cominciati i rapimenti a scopo di riscatto: non sono stati rapiti solo i cristiani, ma la percentuale sul totale dei sequestrati è apparsa subito sproporzionata per eccesso alla consistenza numerica delle nostre comunità. Poi sono arrivate le lettere di minacce, lasciate davanti alla porta di casa, e le telefonate anonime con cui ai cristiani si intimava di pagare la jizah, la tassa di sottomissione, per restare in un paese musulmano come l’Iraq oppure di convertirsi alla fede del Corano. Quindi sono iniziati gli attacchi contro le strutture e gli edifici sacri, il 1° agosto 2004, per demoralizzare i cristiani e spingerli ad andarsene dal paese: pensano che vedendo le chiese ridotte in macerie abbandoneranno il paese» (…)

La versione integrale dell’intervista a monsignor Rahho sarà pubblicata nel numero di Tempi in edicola giovedì 20 marzo.

PERSECUZIONE IN ATTO; PENSIAMOCI!ultima modifica: 2008-03-13T19:25:10+01:00da ritina5
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2 pensieri su “PERSECUZIONE IN ATTO; PENSIAMOCI!

  1. Terribile come viene accettata una notizia come questa dal nostro paese ben pasciuto! Che il Signore ci perdoni la nostra tiepidezza di fronte al sangue dei martiri. Preghiamo davvero e con insistenza. Grazie Cogitor, del post che hai fatto sulla Croce, e dell’invito a guardarla. Un abbraccio

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