QUANDO LA RAGIONE NON CERCA LA FEDE

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Un incontro a Roma sui rapporti tra scienza e religione
di Luca M. Possati
Tratto da L’Osservatore Romano del 27 maggio 2008

“Nelle dispute di problemi naturali non si dovrebbe cominciare dalle autorità di luoghi delle Scritture, ma dalle sensate esperienze e dalle dimostrazioni necessarie”. Con queste parole, nella famosa lettera alla granduchessa madre Cristina di Lorena (fine dell’estate 1516), Galileo Galilei apriva le porte di una questione abissale: quali sono i limiti dell’autonomia scientifica? Fin dove la scienza può spingersi senza la Rivelazione, senza un sapere ultimo dell’uomo e della sua salvezza?

Scrittura e natura procedono entrambe “dal Verbo divino”, scriveva il pisano alla nobildonna, “quella come dettatura dello Spirito Santo, questa come osservantissima esecutrice de gli ordini di Dio”. La Scrittura ci parla della salvezza, delle verità rivelate e soprannaturali, ma non delle conoscenze naturali, quelle che possiamo conoscere con i sensi e con l’intelligenza matematica. Essa dunque non può essere usata per confutare una verità dimostrata dalla scienza sperimentale.

A circa cinquecento anni di distanza, la distinzione posta dal Galilei resta ancora al centro del dibattito scientifico, tema di discussione per scienziati, teologi, filosofi ed esegeti. A dimostrarlo è stato l’incontro intitolato “Per la formazione scientifica ed altri saperi”, tenutosi venerdì 23 maggio presso l’oratorio del Collegio Romano a Roma, al quale sono intervenuti, tra gli altri, José Funes, direttore della Specola Vaticana, Renato Guarini, Rettore dell’università “La Sapienza”, Giorgio Israel, docente di Storia della matematica a “La Sapienza”, Luciano Maiani, presidente del Cnr e Giancarlo Pani, dal 2003 rettore della “Chiesa della Sapienza”, la Cappella del primo Ateneo romano.

Al centro del dibattito, il dialogo tra i saperi per le giovani generazioni nel contesto universitario ed ecclesiale, senza dimenticare le note vicende del gennaio scorso: la mancata visita di Benedetto xvi allo Studium Urbis.

È una tendenza dominante tra gli scienziati di oggi cercare di dimostrare la propria scientificità facendo ricorso ad un intransigente materialismo e ad un rigoroso metodo naturalista. In tale prospettiva, misura del sapere sarebbe soltanto l’empiricamente attestabile. “Ma una visione di questo tipo – ha spiegato Israel – deriva da una considerazione distorta della storia della scienza”. L’importante è “evitare i fraintendimenti”, ha aggiunto il docente, perché “molti scienziati del passato non sono stati materialisti”. Il vero rischio “è credere che l’unica forma di razionalità sia quella naturalistica”.

Occorre cambiare prospettiva: non bisogna cercare il conflitto tra fede e ragione là dove esso non c’è. “Tutti i grandi pensatori della Rivoluzione scientifica sono stati perseguitati”, ha precisato Israel. Ciò non significa che in quel periodo si sia prodotto una scontro intrinseco tra fede e ragione. “Galilei, Descates, Newton, Copernico sono stati grandi teologi laici, con una propria visione teologica e filosofica” tanto che “il senso di molti concetti fondativi delle loro teorie non si può capire se non si fa riferimento a questa visione teologica di fondo”. Così – secondo lo storico della matematica – fare della scienza il “baluardo dell’ateismo” è sbagliato, perché significa “assegnare alla scienza qualcosa che non le appartiene affatto” creando “scissioni controproducenti, negative sia per le scienze naturali, sia per le scienze umane”.

Alla luce di simili considerazioni, le critiche sollevate da molte parti alla visita di Benedetto xvi a “La Sapienza” sono state il sintomo di un profondo fraintendimento del compito della scienza. Come affermava l’allora cardinale Joseph Ratzinger nella conferenza del 15 febbraio 1990 – quella al centro delle contestazioni del gennaio scorso – “La fede non cresce a partire dal risentimento e dalla messa in questione della razionalità, ma solo a partire da un suo fondamentale apprezzamento e da una più ampia ragionevolezza”. “L’autonomia del sapere scientifico – ha ribadito Israel – è qualcosa di imprescindibile”. Nella vicenda della visita mancata “si possono ritrovare due elementi: un equivoco, cioè il pensare che quella visita fosse solo per l’inaugurazione dell’anno accademico, e la valutazione sbagliata di un’affermazione di Ratzinger nella conferenza del 1990. Fa parte dell’etica scientifica ammettere i propri errori, ma questo ancora non è accaduto”. In quella conferenza Ratzinger ha voluto mostrare come nel Novecento il mutato atteggiamento nei riguardi di Galilei fosse il segno di una profonda crisi di fiducia della scienza in se stessa. Proprio per questo, ha detto Israel, “Ratzinger è un galileiano”.

Secondo Luciano Maiani, uno dei docenti che ha firmato la lettera al Rettore nella quale si auspicava che “l’incongruo evento” potesse essere “annullato”, il “caso de “La Sapienza” non è sorto dalla contestazione del discorso del 1990″. Quel che va ricordato dell'”episodio”, piuttosto, è “la forte affermazione dell’autonomia della scienza e della formazione rispetto all’influenza del pensiero religioso”.

“Sono uno scienziato – ha detto Maiani – e ho avuto la fortuna di crescere in un momento storico molto interessante per la mia disciplina, a contatto con persone straordinarie, tutte aperte al dialogo, di tutte le confessioni”. I fisici sono naturalmente portati al dialogo, perché “la ricerca pone obiettivi ai quali tutti guardano e perciò, guardandoli, dimenticano le opposizioni storiche e ideologiche”. Anche negli anni della Guerra Fredda, “la comunità fisica ha saputo mantenere aperto il dialogo tra Occidente e Unione Sovietica”.

L’incontro all’oratorio del collegio romano è stata anche l’occasione per la presentazione del volume Ratzinger-Galileo alla Sapienza (Palermo, Sigma Edizioni, 2008, p. 80), che raccoglie il testo della conferenza del 1990, quello dell’Angelus di domenica 20 gennaio e la ricostruzione storica di Giancarlo Pani: Il caso Galileo: il metodo scientifico e la Bibbia. Grazie a Il Mascellaro

QUANDO LA RAGIONE NON CERCA LA FEDEultima modifica: 2008-06-01T01:19:09+02:00da ritina5
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2 pensieri su “QUANDO LA RAGIONE NON CERCA LA FEDE

  1. L’articolo postato mi sembra piuttosto inconsistente, non si capisce dove voglia andare a parare. Lasciando perdere l’episodio della Sapienza, in cui hanno sbagliato tutti (tranne il Papa, che è riuscito a passare per martire a cuasa di quattro sparuti contestatori) e che non merita eccessiva attenzione, la questione è sempre la stessa, cioè l’autonomia di scienza e fede.
    Il che non significa che la fede (o la filosofia, per chi non è religioso) non possa ispirare la ricerca scientifica o suggerire dei limiti etici e tecnici alla ricerca stessa. Ma ancora una volta, mentre la verità scientifica, per quanto instabile, è una, la verità religiosa (o etica, o filosofica, o politica) è per definizione convenzionale (cioè frutto di una convezione, o di un consenso, puramente umano).
    Si può naturalmente arrivare all’estremo di definire convenzionale anche la conoscenza scientifica (come fa il geniale filosofo della scienza Feyerabend, non a caso citato da Ratzinger) nei termini in cui produce un paradigma sul quale si forma un consenso nella comunità scientifica.
    Così facendo, tuttavia, non si rivaluta affatto il potere conoscitivo della fede e della religione (e tantomeno il potere predittivo! chi vuole sapere che tempo farà si affida alla meteorologia, non a San Giuseppe). Né si fa un buon servizio all’idea di verità assoluta. Semplicemente, come ho già avuto modo di dire, si fa del relativismo nel momento stesso in cui lo si condanna.

  2. Aggiungo solo una cosa: davvero curioso come questi scienziati-religiosi si diano man forte l’un l’altro nel ricordare i “limiti all’autonomia scientifica”. Ma arrivare a definire Ratzinger “galileiano” è davvero uno sproposito. Si può contestualizzare e storicizzare tutto (contestualizzare= relativizzare=relativismo. E’ chiaro il concetto?), compresa l’abiura forzata di Galileo, ma qui ci si scorda un po’ troppo facilmente che il buon Galileo è stato condannato dalla Chiesa per la sua “scienza”. E ci si dimentica, con una disinvoltura imbarazzante, che tale condanna puniva proprio la pretesa di verità assoluta del metodo scientifico.

    Improvvisamente scopriamo che Galileo si preoccupava (come Ratzinger, ma guarda un po’!) dei limiti all’autonomia della scienza. Tutte balle: Galileo era esplicito nel rivendicare ai risultati del metodo scientifico un grado di verità pari a quello posseduto da Dio. Cioè sosteneva che Dio sa tutte le cose e l’uomo solo alcune, ma che quelle che arriva a conoscere scientificamente le conosce con lo stesso grado di certezza di Dio. Ovviamente Galileo, che non era un fesso, si preoccupava di non invadere il campo della religione, ma di sicuro non concedeva alla fede la prerogativa di confutare ciò che il metodo scientifico-sperimentale aveva provato. E infatti fu condannato: o vogliamo derubricare la cosa come l’effetto di un maldipancia temporaneo del Papa di allora?

    Siamo seri: è stata la Chiesa a dover abbandonare sempre di più le proprie pretese di verità, ritirandosi 1) nel simbolico (es. nessuno sostiene che la donna esca da una costola dell’uomo); 2) nel a-scientifico (es. la transustanziazione nell’eucarestia è un concetto totalmente fantastico, come il Nirvana buddhista, che non si può provare né confutare, ma solo credere per fede); 3) nell’esistenziale (con obiezione della serie: “le risposte della scienza non appagano il cuore dell’uomo”).

    Nessuno oggi si sogna di credere che il sole giri attorno alla terra, quindi il supposto “mutato atteggiamento verso Galilei”del Novecento riguarda eventualmente un aggiustamento epistemologico dovuto al fatto che enormi progressi scientifici più recenti (altro che crisi!) sembrano sorpassare lo standard galileiano del metodo sperimentale. La citazione è quindi totalmente a sproposito, anzi, come al solito è tendenziosa e mira a screditare la scienza. Del resto c’è chi, pago della propria felicità esistenziale, ci crede senza informarsi (tanto la verità è per i sempilci, perché fare la fatica di indagare?) e abbocca: qualcuno qui ha avuto il coraggio di scrivere che gli evoluzionisti si stanno “autodemolendo”! Incredibile… 🙂

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