NOSTRA SORELLA MORTE

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Davide D’Alessandro

Quando in una comunità scompare all’improvviso nella notte, colto da malore, accanto alla moglie e ai figli, un uomo di 48 anni, professionista stimato, amico di tanti, viso comunque noto, la giostra dei nostri pensieri per un attimo si ferma e, spaventata, s’interroga, cerca spiegazioni, sperimenta l’indicibile.

Il giorno dopo riparte, deve ripartire. La speranza è che l’evento abbia lasciato una traccia, sempre buona per una meditazione più approfondita su chi siamo e come viviamo. L’idea che possa accadere a ciascuno di noi fra qualche ora fa capolino, ma la scacciamo via, è una voce che non vogliamo ascoltare. Noi siamo i sopravvissuti, ha spiegato Canetti, e in un angolino buio della nostra coscienza, sentimento segreto e inconfessabile, si manifesta persino la superiorità, l’intoccabilità.

Invece, quella voce è lì, a ricordarci che l’onnipotenza non ci appartiene e che, ha lucidamente scritto Pavese, verrà la morte e avrà i tuoi (i nostri) occhi. Li avrà nel senso che li possederà.

Per quella voce, San Francesco ha ringraziato il Signore:”Laudato s’ mi Signore, per sora nostra Morte corporale, da la quale nullu homo vivente pò skappare”.

La morte è una voragine che si apre per chi resta, è un dolore immenso per una madre, un padre, un figlio, una sposa, un marito, una sorella, un amico. Eppure, la morte è anche il richiamo quotidiano che un’altra vita è possibile, ma non dopo: adesso, qui, in questo preciso istante.

Se sapessi che la mia partita si chiuderà fra qualche ora, farei e direi meno sciocchezze, darei ancora più baci, stringerei con un’intensità mai provata le persone più care, eleggerei ciò che è essenziale per la mia ANIMA a bene supremo, certamente non scriverei l’articolo che leggete. Non ci sarebbe tempo. La clessidra mi direbbe che sta per scadere.

Dovremmo tutti, io per primo, fissare la morte, sentirla accanto, viverci senza temerla. Anzi, dovremmo chiederle di mutare la vita, di farle assumere un’altra dimensione. Non fuggirla, ma considerarla “come se” fosse sempre possibile.

Però, con l’uomo il “come se” non funziona. L’uomo vuole bruciare frettolosamente la candela che gli è stata accesa. Vuole correre, sgomitare, invidiare, affermare la propria forza, conquistare e mantenere il potere, esibire le ricchezze, accumularle insieme agli affanni, ai patemi d’animo, allo stress, dimenticando magari un figlio dentro l’auto e sotto il sole, per poi piangerlo disperatamente insieme alla propria miseria.

L’anno scorso, il primo luglio, è morto un mio caro amico: Davide Bertotti. Era di Torino, ma è morto a Miracoli di Casalbordino tra le braccia di Mario Miguel Moretta e di sua moglie. Davide aveva 40 anni. Un infarto fulminante lo ha portato via proprio davanti al Santuario. La sera prima mi aveva detto:”Forse verrò a bussare a questo convento per fare il monaco”.

Da un anno ascolto la mamma al telefono. Piange. Composta, ma piange. E’ un dolore infinito. Lo conosce, lo sente nelle viscere soltanto lei che lo prova. Davide non ha avuto il tempo per i rimpianti. Se anche l’avesse avuto, non ne avrebbe provati. Perché viveva la vita con tutto se stesso, senza risparmiarsi mai, con l’orecchio teso all’ascolto della propria ANIMA. Non ha mai smesso di ascoltarla e di assecondarla fedelmente. La sua opera si è compiuta perché si compiva in ogni attimo della sua vita. Altri anni nulla avrebbero aggiunto alla sua grandezza. Perché è grande non chi diventa Presidente degli Stati Uniti d’America ma, direbbe Nietzsche, chi diventa ciò che è o, ancor meglio, chi realizza, direbbe Dante (il più grande di tutti, poiché ha trovato le parole per dirlo) ciò che l’Amore gli “ditta dentro”.
Grazie a  Il Mascellaro

Davide D’Alessandro
lapolis[chiocciola]tele2.it
NOSTRA SORELLA MORTEultima modifica: 2008-06-07T00:23:30+02:00da ritina5
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