FOLLIA

LA’ IN RIVA ALL’ARNOhttp://www.comune.alessandria.it/flex/images/D.0f0b24e2ca37e8d76f66/prog_fam_indice.jpg
 BUIO MONUMENTO ALL’AMORE TRAMUTATO IN IRA

 DAVIDE RONDONI

C
ome ha fatto Simone, dopo aver posteggiato la sua auto in riva all’Arno, a uccidere a martellate i suoi piccoli di 7 e 5 anni? Erano una bambina e un bambino. Poi si è dato fuoco insieme ai loro corpi. Come avrà fatto, pensiamo, storditi, mentre leggiamo una cronaca fredda e tremenda di liti con la compagna e madre dei due, di annunci fatti per telefono a parenti che, con chissà quale magone e terrore, si sono messi a cercarli, di case popolari a Pisa, proprio nelle zone del conte Ugolino che Dante ritrae divorare i suoi figli…
  E viene la tentazione di lasciare lì, fissa e perduta nel suo smalto terribile questa storia. Questa ennesima vicenda di sangue innocente sparso per rancori di amanti, o di sposi sperduti in un delirio. Verrebbe da distogliere lo sguardo, per non voler nemmeno immaginare cosa sia accaduto dentro l’auto parcheggiata come per una gita. Per non pensare ai due innocenti, che avevano diritto a vivere, a non essere sacrificati alla rabbia di un amore andato in malora. Avevano solo 5 e 7 anni.
  Cos’è un bambino a quella età, come puoi colpirlo? Verrebbe da lasciare quell’auto parcheggiata tra le nebbie della follia, dire solo: sono cose da pazzi. E distogliere lo sguardo, il cuore, per non morire di pena, e di scandalo contro il cielo che, come l’Arno indifferente lì vicino, sembra esser restato lontano da quei due bambini. Invece no, guardare si deve. Non fare finta che queste cose appartengano a un altro pianeta da quello in cui siamo, non fingere che non c’entrino mai nulla con le cose che viviamo di solito. Lasciare quell’auto tra le nebbie della nostra indifferenza sarebbe come condannare ad un’ultima, estrema inutilità il sacrificio dei due bambini. Perchè chiunque di noi sa che c’è sempre un rischio: di distruggere il bene in nome dell’ira. Di cancellare quel che c’è di buono in un rapporto – d’amore o amicizia – a causa di una rabbia, di un rancore, di un ‘aver ragione contro’ l’altro. C’è sempre il rischio di ‘fare fuori’ il bene che c’è stato in nome della difficoltà del dissidio presente. Il rischio di essere violenti contro il bene che c’è o che c’è stato, in nome del dissidio presente.
  L’auto di Simone, padre colpevolissimo e tristissimo, padre fattosi carnefice, creatore del proprio inferno e anch’egli,  da compatire come si deve compatire chi perde la mente, e i suoi due figli, compongono ai nostri occhi una immagine tremenda di ciò che rischiamo e siamo anche noi, e non di rado. Sono, in quell’auto parcheggiata sull’Arno, il dolente e buio monumento all’amore che si tramuta in ira. All’amore che diviene il suo contrario, quando le prove della vita non sono affrontate con la forza del perdono o della pazienza. Con le forze dell’amore che non cedono alle forze del possesso e dell’egoismo. Il cielo e l’Arno non sono indifferenti a questa tragedia. Il cielo parla sempre, con segni e suggerimenti, nei cuori degli uomini, ma noi possiamo decidere di non ascoltare. Avrà parlato anche a Simone, ma lui ha scelto di ascoltare per mesi, forse per anni l’ira che in lui cresceva. Ha deciso di nutrire quella – fino a divenirne pazzo schiavo – invece che ascoltare il cielo. E l’Arno, dolce fiume di Toscana, ha di certo dato agli occhi dei due piccoli l’ultima bella luce che hanno visto. E ha raccolto le loro lacrime, le ha portate al mare. E al cuore di Dio, mare dei mari, dove il tempo breve e sorridente dei bambini diventa eternità. Quel cuore che è ­l’unico posto dove la pena immensa di averli persi puo’ chiedere
di non ammattire.

Fonte Avvenire

FOLLIAultima modifica: 2008-09-29T19:07:50+02:00da ritina5
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