ISRAELE, ESEMPIO DI FELICITA’

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L interessante articolo che propongo- qui sotto- alla lettura fa giustizia di alcuni aspetti che per motivi ideologici ed opportunistici molti osservatori, o presunti tali, europei e non fanno finta di non vedere o di dare una lettura parziale di quello che sta succedendo nella società israeliana e, a livello generale, come vivono il presente in prospettiva del futuro, le nostre società, censurando parole come vita, morte, felicità. Se c’è ad esempio un paese che più di tutti vuole la pace in Medioriente, questo è indiscutibilmente Israele con buona pace di quei “pacifinti” tiepidi se non conniventi con chi vorrebbe distruggere e cancellare dalla faccia della terra il popolo ebraico.

Altra questione, che piaccia o no, Israele come bene è descritto da questo articolo, paradossalmente ci è d’esempio sulla positività della vita a tutto campo. E un altro grande testimone, Papa Ratzinger, citato nell’articolo, richiama continuamente “il risveglio della ragione” di fronte alla realtà che non è fatta di effimere immagini o costruzioni ideologiche che opprimono alla fine il desiderio stesso dell’uomo alla felicità. Ringraziando Dio abbiamo esempi che sfidano quelli che vorrebbero ingabbiare le coscienze dentro un potere che propugna finte libertà e felicità individuali astratte, allontanando dallo scopo di una sempre più indispensabile responsabilità personale e sociale per il bene di tutti. Comunque su tutto questo se ne può tranquillamente discutere. (Politicus)

Sembra un paradosso: Israele è la nazione più felice della terra. Un popolo minacciato nella sua stessa esistenza, costretto a vivere in una condizione di guerra permanente, riesce a mantenere un invidiabile grado di serenità. Lo dicono una serie di parametri statistici riportati da Spengler editorialista di punta di Asia Times. Confrontando il tasso di fertilità e quello dei suicidi Israele è in cima alla classifica dei paesi amanti della vita davanti a ben 35 nazioni industrializzate. È uno degli stati più ricchi, liberi e istruiti del mondo: con molte ore dedicate alla religione e primeggiando nelle discipline scientifiche. E la durata media della vita è più alta che in Germania e Olanda. Un quadro sorprendente se si considera che gli israeliani sono circondati da vicini pronti a uccidersi pur di distruggerli.

 
Una condizione che non può essere attribuita alle esperienze storiche. Nessun popolo ha sofferto più degli ebrei e avrebbe giustificazione migliore per lamentarsi. Chi crede nell’elezione divina di Israele vede in tutto ciò una speciale grazia di Dio.
Secondo Spengler gli ebrei incarnano “l’idea di una vita fondata su un Patto che procede ininterrotta attraverso le generazioni”. Certamente il caso di Israele ci interroga. Rappresenta qualcosa di unico davanti a società europee invecchiate, e non solo in senso demografico. Società dove sono stati “resi eretici l’amore e il buonumore”, come disse nel 1974 l’allora professor Joseph Ratzinger. Nella stessa occasione il futuro Benedetto XVI si chiedeva “se la vita sia un dono sensato che si può fiduciosamente continuare a dare, anche se non richiesti, o se essa non sia veramente un peso insopportabile tanto che sarebbe meglio non essere nati”. E concludeva che “il primo compito che è importante oggi per l’uomo consapevole della propria responsabilità deve essere quello di risvegliare la ragione assopita”.

 
Interpretare la felicità di Israele come un dato sociologico sarebbe assai limitativo. In realtà è una provocazione che riguarda tutti. Ha a che fare col senso e la prospettiva che diamo alle nostre azioni e passioni. A patto di non aver già liquidato il problema della felicità come una questione da illusi sognatori. Non è un caso che i padri della costituzione americana, più di due secoli fa, abbiano inserito fra i principi fondamentali della nazione che stava sorgendo il diritto alla ricerca della felicità. Evidentemente si tratta di un punto che fa la differenza non solo per la vita dei singoli, ma per l’intera società. Tale ricerca deve partire da una positività riconosciuta, o almeno intuita, nella realtà in cui si vive. Questo richiede la capacità di saper guardare al di là delle apparenze, cosa che nell’immediato può anche comportare un sacrificio dentro però una prospettiva in cui si costruisce e si realizza la persona. E oggi, soprattutto ai giovani, non fa tanto paura il sacrificio, ma piuttosto il fatto che questo possa non avere un senso. Tutto ciò non è né automatico né scontato, ma frutto di un’educazione in grado di appassionare alla conoscenza della realtà partendo da fatti che muovano interesse e affettività. Fatti, non opinioni. Quindi occorre solo una grande lealtà. L’uomo per sua natura cerca qualcosa o qualcuno a cui appigliarsi e che prenda sul serio la sua esigenza costitutiva di felicità. Non c’è alcuna marcia inarrestabile verso il progresso a cui affidare le nostre speranze come, con una buona dose di dogmatismo ideologico, qualcuno ogni tanto vorrebbe farci credere. In questo senso la recente bufera finanziaria ancor prima che per il tracollo economico è motivo di smarrimento perché ormai concepiamo la ricchezza come unica certezza possibile mentre essa da sola oggettivamente non può dare senso e sostanza all’esistenza. Oggi è il momento di un amaro risveglio, ma può essere anche l’occasione per un ritorno a un sano realismo.

 Graziano Tarantini

(L’Arena 28 settembre 2008)

Fonte: www.ilsussidiario.net

Grazie all’amico Politicus

ISRAELE, ESEMPIO DI FELICITA’ultima modifica: 2008-09-30T01:09:13+02:00da ritina5
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7 pensieri su “ISRAELE, ESEMPIO DI FELICITA’

  1. Be’ mi pare evidente.

    La felicità è un dato non registrabile né quantificabile né trattabile statisticamante. non esiste quindi alcun “tasso di felicità” degno di questo nome in base al quale stilare classifiche.
    Esiste una grande quantità di indicatori qualitativi, alcuni di questi ormai comunemente usati (spesso in combinazione con indicatori quantitativi – per esempio gli indici di sviluppo umano usati dalle Nazioni Unite, o le varie calssifiche annuali sulla qualità della vita), ma nessuno studio serio si azzarda a fare classifiche di felicità.

    Quindi l’assunto di base che Israele sia più felice è molto traballante. Nessuno nega che un alto tasso di fertilità e un basso tasso di suicidi sia una buona cosa, ma nell’articolo questo dato è l’unico elemento oggettivo su cui si basa l’affermazione che Israele sia “più felice”. Un po’ poco.
    Tra l’altro non rifersice i dati rispetto agli altri paesi, il che rende l’informazione un po’ troppo lacunosa. Anche sapere che la durata media della vita è più alta che in Olanda e Germania è assai poco significativo (specie se non si dice quali e quanti paesi abbiano invece una media superiore), e in ogni caso non ha nulla a che fare col fatto di essere o meno un paese “amante della vita”.

    L’articolo è poi infarcito di accostamenti concettuali forzati e per di più basati su affermazioni del tutto da dimostrare. Per esempio non si vede proprio quale sia il nesso tra i richiami alla ragione di Ratzinger e la situazione di Israele. L’ultimo paragrafo (quello in blu) prende come pretesto la “felicità di Israele” per costruire tutta una serie di giudizi che con Israele non hanno nulla a che fare.

    E’ poi data del tutto per scontata la posizione di vittima di Israele, dipinta come un agnello in mezzo ai lupi, quando fino a prova contraria le vere vittime sono i palestinesi.
    (Visto che si parla di statistiche, i dati confermano che i morti palestinesi per mano israeliana sono di gran lunga più numerosi dei morti israeliani per mano palestinese – senza entrare nel merito delle disumane condizioni di vita cui Israele costringe la popolazione palestinese.)

    Non so bene cosa si proponga di dimostrare l’autore dell’articolo: forse i vantaggi di uno stato religioso e dell’attaccamento alle radici, forse la superiorità della cultura giudaco-cristiana (da qui l’accostamento del cristiano Rratzinger al totalmente giudaico Israele).
    Qualunque sia la sua tesi, i dati cui fa riferimento sono assai poco significativi.
    Chissà se il suo idilliaco quadretto di Israele “innamorato della vita” cambierebbe se incudesse le statistiche sugli aborti praticati in Israele (circa un milione negli ultimi trent’anni), mille volte più numerosi rispetto ai cattivi vicini musulmani.

  2. Bhe, vedi che giudichi in modo ideologico? Leggi attentamente l’ultima parte del post, quella blu scuro, chiarisce bene il problema; infatti parla dello smarrimento della bufera finanziaria, non c’entra un cavolo coi palestinesi!

  3. Bellissima questa! Alla fine sono io quello che giudica in modo ideologico!
    Queste risposte, devo essere sincero, mi fanno cadere le braccia.
    Mi pare di aver fatto delle osservazioni ben precise: puoi accoglierle o smontarle, ma in entrambi i casi devi leggere quello che dico.

    La parte in blu parla di molte cose: la costituzione americana, l’aspirazione alla felicità, l’educazione, il dogmatismo ideologico, i giovani, il sacrificio. Tra queste, c’è pure un accenno per la bufera finanziaria. Quello che io ho detto (rileggi bene) è che di tutte queste cose su cui l’autore pontifica non si vede il nesso con la presunta “felicità israeliana”.

    Non so come tu possa aver fatto tanta confusione. I palestinesi c’entrano invece con l’affermazione che Israele sia un paese pacifico circondato da nemici tutti disposti a morire per distruggerlo. Io replico che l’unica evidenza fattuale, per ora, è la distruzione della Palestina e dei palestinesi.

    Nulla da dire su questo? E sull’inconsistenza totale di una classifica della “felicità” dei paesi? E sulle decine di migliaia di aborti all’anno del religiosissimo e felicissimo Israele?

  4. Caro Guido si tratta di una ricerca sociologica fatta sul campo. E comunque la questione della felicità riguarda ogni uomo. E poi Israele proprio per la sua ricchezza culturale, scientifica e religiosa ha, come ho detto altre volte, l’interesse alla pace, la sua e quella dei suoi vicini. Ideologico e un pò no-global la leggenda che sia Israele a voler distruggere i palestinesi quando nel 92′ ad esempio, Barack concedeva il 90% delle richieste di Arafat, sotto la mediazione di Clinton. Ma il mondo arabo islamico contribuì al boicottaggio facendo fallire gli accordi con la complicità di Arafat stesso. Una Palestina indipendente e l’esistenza di uno Stato d’Israele non può essere tollerato da quei paesi pasdaran come Iran e Siria che hanno iniziato a foraggiare il terrorismo di Hamas e della libanese Helzobollah che smaccatamente con toni inequivocabilmente antisemiti perseguono la volontà della distruzione dello Stato Ebraico e il suo popolo prima e delle comunità cristiane poi, magari sottomettendole. Hamas spesso ha minacciato e minaccia i palestinesi cristiani cercando di aggregare i giovani nelle file terroristiche contro Israele. E allora tante famiglie fuggono dai territori palestinesi. Tanti missili vengono sparati dai quartieri cristiani con avamposti israeliani che rispondendo all’attacco sparano cpontro quei quartieri stessi per poi far gridare agli agit-prop di Hamas appoggiati dalla miopia di tanta stampa e diplomazia europea alla aggressione “sionista”. A me la pace interessa avendo conosciuto palestinesi desiderosi insieme agli amici ebrei di mettere fine alla guerra in medioriente. Perchè anche l’Europa ha tutto l’interesse perchè la “felice” Israele sia in pace, perchè solo così potrà vivere una Palestina indipendente che non veda la Stella di David come nemica. Ti assicuro, essendo stato in medioriente che sono tanti, anche nelle zone islamiche, che vogliono la pace. Il problema sono le fazioni oltranziste che opprimono i loro stessi popoli sottomettendoli con la paura.

  5. Non mi interessava scatenare una discussione su Israele e Palestina perché so per esperienza che non se ne viene a capo (la tua stessa introduzione parla polemicamente di “pacifinti”). Volevo solo far notare che l’autore dà per scontate cose che non lo sono affatto.

    Per la cronaca, io sono stato in Israele e Palestina, nonché in Siria e in Iran (in momenti diversi sennò col timbro di Israele sul passaporto non mi facevano entrare…). Ciò non fa di me un esperto, ma penso di poter dire con cognizione di causa che gli oppressi sono, senza dubbio, i palestinesi. Ciò non toglie che il terrorismo islamico sia da condannare, che la leadership palestinese sia corrottissima, eccetera eccetera, ma l’intrico di torti e ragioni è tale da rendere impossibile una discussione approfondita sulla questione palestinese. (Per quello che ho visto io, comunque, i palestinesi cristiani sono parimenti anti-israeliani.)

    Quanto al resto, cosa vuol dire esattamente ricerca sul campo?
    Che precisazione è “la questione della felicità riguarda ogni uomo”? E’ ovvio. Quindi?
    Per ora le mie obiezioni restano inevase: la presunta “felicità” di Israele è ancora tutta da dimostrare. E cosa centri tutto ciò con gli appelli alla ragione di Ratzinger resta un mistero.

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