LA RIVINCITA DEL CROCIFISSO!

   http://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/thumb/3/3a/Arezzo-Chiesa_di_san_Domenico-Crocifisso_di_Cimabue-closeup.jpg/250px-Arezzo-Chiesa_di_san_Domenico-Crocifisso_di_Cimabue-closeup.jpg  da: www.avvenire.it

DI GIACOMO BIFFI
 L a rivincita del Crocifisso. L’e­spressione allude all’evoluzio­ne dello stato d’animo degli a­postoli e degli altri amici di Gesù nel corso degli accadimenti che ci han­no salvato.
Essi nella morte del Si­gnore hanno visto una catastrofe: u­na sconfitta totale e senza rimedio per l’insegnamento, l’azione, il pre­stigio del loro Maestro; e una scon­fitta totale e senza rimedio anche per loro stessi. In lui avevano riposto ogni loro speranza; per lui avevano abbandonato la casa, il lavoro, le normali relazioni sociali; su di lui a­vevano puntato la loro unica vita: a­vevano lasciato tutto (cf. Mc 10,28).
 
E avevano perso tutto. Ed ecco che arriva quell’inaspettato e incredibile terzo giorno, con il sepolcro scoper­chiato e vuoto, con il succedersi in­calzante delle manifestazioni del Re­divivo, con la ricomparsa (in uno splendore nuovo) del loro antico af­fascinatore. Quel terzo giorno è stato naturalmente percepito come il «giorno della rivincita»: una rivincita davanti al «clan» e a quei conoscenti che avevano sempre guardato con scetticismo alla loro infatuazione e forse già avevano iniziato a deriderli dopo la fine ingloriosa dell’esperien­za intrapresa; una rivincita davanti alle autorità del popolo d’Israele; u­na rivincita davanti all’umanità inte­ra. La sera del terzo giorno in mezzo a quel gruppo ormai disilluso e sbandato comincia a serpeggiare il sollievo e la sensazione che la bella avventura, con i suoi attori di sem­pre, sta per ricominciare da capo: davvero il Signore è risorto ed è ap­parso a Simone! (Lc 24,34). Era una rivincita inaspettata. Tutto ciò è plausibile e possiede una sua verità.
  Se però l’attenzione si sposta dal dramma come era psicologicamen­te vissuto da chi era immerso nelle oscure vicissitudini terrene al dise­gno eterno del Padre, allora (a un livello di conoscenza più alto, più chiaro, più comprensivo) ci si rende conto che bisogna parlare, per tutto quel che è avvenu­to, di totale e assoluta «vitto­ria ». Io ho vinto, aveva subi­to affermato Gesù poco pri­ma di essere arrestato, al principio del suo percorso di umiliazione, di sofferenza, di morte, di risurrezione, di gloria (Gv 16,33:
«Io ho vinto il mondo»). Del resto, egli ci aveva già informato che perfino la sua croci­fissione sarebbe stata una vittoria, anzi una «vittoria cosmica» e una conquista dei cuori: «Io, quando sarò innalzato da terra, attirerò tutti a me». Questo diceva per indicare di qual morte doveva morire (Gv 12,32­33). La Chiesa, con l’intelligenza do­natale dalla Pentecoste, ben presto capisce che tutto quanto si è svolto a Gerusalemme nelle ore più buie del­la storia è intrinsecamente parte del vittorioso progetto di Dio. (…) Qui si impongono alcune considerazioni generali sull’avvenimento pasquale come ciò che è fondante e costituti­vo della nostra essenziale autenticità di credenti in Cristo. Quando all’in­domani della Pentecoste gli apostoli partono per annunciare il Vangelo a tutte le genti, su comando del loro Signore e Maestro, non hanno altra religione che quella ebraica, non ri­conoscono altro Dio che il Dio di A­bramo, di Mosè e di Davide, non possiedono altro libro sacro (alme­no inizialmente) che la Bibbia degli israeliti: tutti elementi teologici e cultuali che non li distinguevano dal resto della popolazione di Gerusa­lemme e della Giudea. Che cosa al­lora era proprio, esclusivo, caratte­rizzante del Vangelo e della nuova realtà della Chiesa? Era il convinci­mento e l’annuncio pubblico che Gesù di Nazaret, il Crocifisso del Golgota, era risorto, era adesso vivo, era Signore. Questo è ciò che nel cri­stianesimo è ancora oggi proprio, e­sclusivo, caratterizzante. «Occorre a questo punto persuadersi che il cri­stianesimo fin dal suo contenuto primordiale è qualcosa di unico, di decisivo, di imparagonabile. Prima ancora che una religione, una mora­le, un culto, una filosofia, è un avve­nimento: l’avvenimento della risurrezione di Gesù di Nazaret che si fa principio del rinnovamento degli uomini e delle cose. Perciò è intra­montabile: le dottrine nascono, fan­no fortuna, incantano per decenni e magari per secoli, poi decadono e muoiono. Il fatto cristiano resta, pro­prio perché è un fatto; e resta indi­pendentemente dall’accoglienza e dal numero delle adesioni che rice­ve. Tutte le religioni – oggi si sente dire sempre più spesso – hanno un loro valore che è giusto riconoscere.
  E si può anche ammetterlo, purché non ci si dimentichi che la realtà cri­stiana in questo discorso non c’en­tra.
Il cristianesimo, primariamente e per sé, non può essere ridotto a un sistema di convincimenti, di precet­ti, di riti che interpreta e regola i rap­porti tra le creature e il Creatore. Vale a dire, per quanto la frase possa ap­parire paradossale, primariamente e per sé, non può essere ridotto a ‘una religione’: collocarlo tra le religioni (anche soltanto per ragioni di siste­mazione e di metodo, o per la buona intenzione di favorire il dialogo in­terreligioso), se non si chiarisce l’in­trinseca ambiguità del collegamento o quanto meno il suo significato sol­tanto analogico, vuol dire travisarlo e precludersi ogni sua autentica comprensione.
 «La resurrezione del terzo giorno può essere letta come una rivincita dopo la sconfitta; in realtà il trionfo era già nel Venerdì santo»

Grazie a Giacabi del blog “ la Roccia Splendente “

LA RIVINCITA DEL CROCIFISSO!ultima modifica: 2008-03-15T14:43:15+01:00da ritina5
Reposta per primo quest’articolo