GRAZIE, DON CAMILLO!

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Ruini: peggio delle “pallottole di carta” è quando i vescovi lasciano il papa da solo

L’omelia del cardinale Camillo Ruini nella messa per il venticinquesimo del suo episcopato – la sera del 21 giugno nella basilica di San Giovanni in Laterano – è stato anche il suo addio alla carica di vicario del papa per la diocesi di Roma.

Per le letture della messa Ruini si è affidato a quelle presenti nel messale del giorno. E si è trovato quindi a commentare il passo del Vangelo in cui Gesù dice ai suoi discepoli:

“Non temete gli uomini, […] non abbiate paura di quelli che uccidono il corpo, ma non hanno potere di uccidere l’anima; temete piuttosto Colui che ha il potere di far perire e l’anima e il corpo nella Geenna. […] Quello che vi dico nelle tenebre ditelo nella luce, e quello che ascoltate all’orecchio predicatelo sui tetti”.

Da qui il cardinale ha così proseguito:

“Un commento esistenziale a questo testo, da parte di un vescovo, lo ha offerto Giovanni Paolo II nel suo libro ‘Alzatevi, Andiamo!’, nel capitolo intitolato ‘Dio e il coraggio’. Egli cita le parole pronunciate in tempi difficili dal cardinale primate di Polonia Stefan Wyszyński: ‘Per un vescovo la mancanza di fortezza è l’inizio della sconfitta. Può continuare a essere apostolo? Per un apostolo, infatti, è essenziale la testimonianza resa alla Verità! E questo esige sempre la fortezza’. E ancora: ‘La più grande mancanza dell’apostolo è la paura. A destare la paura è la mancanza di fiducia nella potenza del Maestro; è questa che opprime il cuore e stringe la gola’.

“Personalmente non ho certo vissuto esperienze drammatiche come quelle dei cardinali Stefan Wyszyński e Karol Wojtyła; tanto meno come quella del profeta Geremia che abbiamo ascoltato nella prima lettura: ‘Sentivo le insinuazioni di molti: Terrore all’intorno! Denunciatelo e lo denunceremo’. Ogni vescovo tuttavia, nel suo tempo e nelle sue situazioni di vita e di ministero, ha bisogno di almeno un poco di fortezza e anch’io ne ho avuto bisogno, a Reggio Emilia e poi qui a Roma. Mi permetto di soffermarmi su questo aspetto, del quale di solito si parla poco. Quando poi se ne parla si pensa subito alla fortezza o al coraggio rivolto per così dire ‘verso l’esterno’, soprattutto verso la pressione esercitata dalla ‘opinione pubblica’, così come questa è interpretata, e non di rado ‘costruita’, dai mezzi di comunicazione. È indispensabile, per un vescovo, sottrarsi alla sudditanza nei confronti di questo genere di pressione e a tal fine è importante ricordare che la verità che ci è stata donata e affidata, quella verità che in ultima analisi è Cristo stesso, conta e ‘pesa’ molto di più di qualsiasi opinione. In realtà, per me questo è stato, tutto sommato, un problema abbastanza lieve: come ho detto scherzosamente parlando ad alcuni confratelli vescovi quando pensavo che non ci fossero altri ascoltatori, ‘le pallottole di carta non fanno molta paura’. Difficile mi è stato, piuttosto, riuscire a congiungere, anche nel modo di esprimermi e di comunicare, la fermezza con l’amore.

“L’esercizio della fortezza, da parte di un vescovo, è comunque più spesso necessario, e anche più impegnativo, nel governo quotidiano della diocesi, dove non si ha a che fare solo con le opinioni, ma con le persone. Qui le certezze sono più difficili, mentre più forte è il bisogno di rendere tangibile che quello che facciamo e decidiamo lo facciamo e decidiamo per amore, ricercando cioè il bene sia della comunità sia delle persone interessate. È questo, forse, il maggior peso quotidiano di un vescovo, non dico la sua croce più grande – questa infatti sono i suoi personali peccati – ma la più immediata.

“Un ultimo pensiero riguardo al coraggio del vescovo ritorna alla fortezza nell’annuncio e nella testimonianza pubblica della fede. Sono stato assai aiutato e stimolato sotto questo profilo dal mio compito di vicario del Santo Padre, in concreto dall’esempio che ho ricevuto da Giovanni Paolo II e da Benedetto XVI: in molte occasioni ho percepito quasi fisicamente che sarebbe stato ingiusto lasciarli soli. Già prima, quando non ero ancora vescovo, ho avuto la stessa sensazione nei confronti di Paolo VI. Essere a fianco del papa nell’annuncio e testimonianza della fede, specialmente quando questi sono scomodi e richiedono coraggio, è in realtà il compito di ogni vescovo, un aspetto essenziale della collegialità episcopale. Mi permetto di dire che se tutto il corpo episcopale fosse stato forte ed esplicito sotto questo profilo, varie difficoltà, nella Chiesa, sarebbero state meno gravi e che anche per il futuro questa può essere una via efficace per ridimensionarle e superarle”.

Nella seconda parte della sua omelia, Ruini ha svolto anche un altro tema a lui caro: quello del guardare e giudicare il mondo “con l’occhio della fede”.

Il testo integrale dell’omelia è in questa pagina di www.chiesa: “Il coraggio del vescovo nella fortezza nell’annuncio“.

Di Sandro Magister-Settimo Cielo

GRAZIE, DON CAMILLO!ultima modifica: 2008-06-22T22:19:41+02:00da ritina5
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